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Malizioso e un po' contorto l'ebreo a caccia di eredità

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ZUCKER viveva con la madre e un fratello nella Repubblica Democratica Tedesca. Quando il Muro la divise anche materialmente da quella Federale, i suoi si trasferirono là, lasciandolo ad arrangiarsi da solo. Con successo fino alla riunificazione delle due Germanie, perché a Zucker, da quel momento, nonostante fosse diventato un apprezzato cronista sportivo in televisione, non rimase altro, per campare, che il biliardo e il gioco d'azzardo. Così perseguitato dalla sfortuna da ridursi presto carico di debiti e con una moglie decisa al divorzio. Ecco però arrivare la notizia che la madre, ebrea molto osservante, era morta lasciando, per testamento, non solo di essere seppellita a Berlino dov'era nata, ma dividendo l'eredità tra i due fratelli a patto che tornassero in pace tra loro, uniti dalla comune adesione alla religione ebraica da Zucker invece totalmente accantonata. Eccolo così, all'arrivo del fratello e dei suoi, tutti molto religiosi, organizzare, in vista dell'eredità, la finzione di un ebraismo mai praticato. Con una serie di contrattempi, di menzogne e di mistificazioni raddoppiate dal fatto di dovere a tutti i costi partecipare ad un torneo di biliardo per lui risolutivo, mentre gli altri, compunti, rispettavano invece strettamente tutti i rituali del lutto ebraico. Alla fine una sorpresa, non bella (al contrario), ma con una soluzione inattesa che risolleverà un po' le sorti di tutti, ebrei veri e ebrei finti. Naturalmente è una commedia. Scritta e diretta da un regista, Dani Levy, che, essendo ebreo anche lui, non ha timore di farsi beffe della mentalità e del modo di vivere dei suoi correligionari più ortodossi. Forse poteva essere meno irriverente, anche perché, in certi passaggi, le sue beffe rischiano di apparire stonate, la caratterizzazione dei vari personaggi, tuttavia, è condotta con una disinvoltura indubbiamente colorita e i risvolti narrativi, pure un po' contorti, i risultati allegri cui tendevano li raggiungono. Qua e là anche con una certa malizia. Gli interpreti però non aiutano molto. Hanno tutti un passato fecondo, sia in teatro, sia in televisione e al cinema, ma qui da noi hanno scarsi richiami. Cito almeno il protagonista, Henry Hübchen. Può divertire, ma si agita molto.

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