Un noir in salsa texana dal sapore incerto
Scritto da uno sceneggiatore, Milo Addica, che, per la regia di Marc Forster, ci aveva già proposto storie nere in quel «Monster's Ball — L'ombra della vita», ambientato in Georgia, addirittura, come avvio, nel braccio della morte di un carcere. Adesso, con la regia di James Marsh, ci trasporta in Texas, in una cittadina di provincia dove esercita le sue funzioni un rigido pastore protestante, con famiglia. Ha però un passato perché, anni prima, quando ancora non si era convertito, aveva messo incinta una povera donna, abbandonandola poi al suo destino. Ma ecco che quel suo passato ritorna, nei panni di Elvis, un giovanotto che ha appena finito il suo servizio in Marina. Va da lui e gli dice di essere suo figlio, l'altro, turbato, gli raccomanda di stare alla larga dalla sua famiglia, Elvis, però, non solo non gli dà ascolto ma, avendo fatto innamorare sua figlia — che è sua sorella — la seduce. Il fratello di lei, pur ignorando di quel legame, affronta Elvis per dissuaderlo da un rapporto che sa molto mal visto dal padre, ricevendo in cambio una coltellata che, anche se lo scopo non era quello, gli sarà fatale. Segue una storia anche più fosca di tutto il resto perché Elvis nasconde il cadavere, accetta di essere affettuosamente riconosciuto dal padre che lo accoglie in casa ma che quando in un suo sermone ne rivelerà pubblicamente la vera identità, provocherà il suicidio di sua figlia e di sua moglie, lacerata dalla rivelazione. A Elvis non resterà che confessare. Pronto a pagare le conseguenze. Tutto molto nero, appunto. Con varie incertezze al momento di giustificare le motivazioni del protagonista passato, da cifre tranquille, addirittura a un incesto e a un omicidio, sia pure involontario, con occultamento di cadavere. Però se questo carattere, che pure è il principale, non riesce a proporsi fino in fondo con una fisionomia ben definita, sostenuta da una vera logica, il contesto in cui si muove, quella provincia texana in cui la religiosità ha spazi spesso ingombranti e quel pastore che tiene ad ammettere in chiesa le colpe del suo passato, approdano a climi plausibili, anche perché la regia, pur essendo opera di un esordiente, riesce a suscitarvi attorno delle atmosfere in cui il gelo di quel personaggio che si macchia di orrori sempre in cifre quiete non lascia indifferenti. Per merito anche del messicano Gael García-Bernal, qui al suo primo film in lingua inglese, pronto a non manifestare mai, con note limpide, le oscurità che lo divorano.