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«Adriano, ridammi le mie canzoni»

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L'amico-nemico Don Backy: abbia il coraggio di rompere il silenzio

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Il Tribunale di Sanremo ha infatti riconosciuto la paternità del brano con cui Don Backy fece il suo ingresso al Clan Celentano. Lo rende noto lo stesso artista che ha pubblicato su un quotidiano una lunga lettera aperta a Celentano e che ora chiede all'ex Molleggiato di «confessare» che un'altra quarantina di canzoni, benchè firmate da Detto Mariano e Michi Del Prete, sono in realtà sue. «Basterebbe - dice Don Backy - che Adriano mandasse un fax al tribunale per dire "sono pronto a testimoniare che le canzoni sono sue". Finalmente aiuterebbe la giustizia a fare chiarezza su un tema fondamentale, lui che va in tv a parlare di onestà, amicizia e lealtà. Questo è un masso che gli peserà sulla coscienza, se ce ne ha una». Per Don Backy, comunque, anche Claudia Mori ha una parte di responsabilità in questa situazione perchè influisce da sempre sulle decisioni del marito. Don Backy racconta che nel Clan «vigeva una regola: bisognava che le canzoni le firmasse Michi Del Prete per la parte letteraria e Detto Mariano per quella musicale. La scelta era motivata con la mia non iscrizione alla Siae e pertanto 'lorsignorì si prestavano a questo tipo di combinazione. In sostanza, mi venne detto che non potevano uscire con canzoni non firmate dal Clan». Poi però Don Backy si iscrisse alla Siae come paroliere. «Adriano - spiega - aveva imposto che tutti i suoi parolieri facessero firmare la loro parte anche a Del Prete. Io mi ribellai a questa imposizione, e gli dissi che da quel momento avrei firmato da solo le mie canzoni. Lui allora indisse una riunione, eravamo nel 1963, e stabilì che l'unico che non avrebbe mai più dovuto firmare canzoni con Del Prete ero io». «In questi anni - continua - Adriano non ha mai avuto il coraggio civile di alzarsi in piedi e dire che le scrivevo io le canzoni». Non è comunque molto ottimista al riguardo: «È improbabile che accada, anche se finalmente dimostrerebbe di essere ciò che dice di essere». E. M.

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