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Un tempo era affidata agli umoristi di valore. Oggi è in mano a comici e «santoni»

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La resistibile ascesa della satira

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Ci si azzuffa, piuttosto. Si macinano polemiche rabbiose, si rinfaccia la faziosità, si denuncia il cattivo gusto, si invoca (o si paventa) la censura. Ma si ride poco, pochissimo. I «comici» si elevano al rango di ideologhi, o di santoni. Ruoli sbagliati, come è sbagliato - persino - che la satira sia data in appalto ai comici. La satira è dominio dell'ironia, o del sarcasmo: spetta, casomai, agli umoristi, oppure agli umori (la desinenza, non a caso, è la stessa) del popolo gabbato dai potenti, che si vendica contro di loro. Contro tutti loro, senza badare se siano di destra o di sinistra. Come facevano a Roma - nei secoli passati, quando il potere temporale era in mano alla Chiesa - le statue parlanti di Pasquino, di Martorio, di Madama Lucrezia, che non risparmiavano sberleffi. Come faceva faceva (all'inizio del Settecento) Jonathan Swift, quello dei «Viaggi di Gulliver», caposcuola dell'humour britannico, distaccato e bipartizan. Che c'azzecca - direbbe Di Pietro - la satira televisiva di oggi (quella delle Guzzanti, dei Luttazzi, dei Crozza, delle Dandini, lasciando perdere Celentano, che fa l'impresario, e non ci prova neppure a fustigare «ridendo, mores») con Swift? C'entra poco o nulla anche con i grandi poeti romaneschi (Belli, Trilussa e Pascarella, che satireggiava anche sulla Storia raccontando - nella «Scoperta dell'America» - il primo incontro di Cristoforo Colombo con un indigeno: «Ah quell'omo! - je fece - chi sete? / - Eh - fece - chi ho da esse? So un servaggio»). E non somiglia, neppure da lontano, ai testi dei giornali satirici dell'Ottocento (ancora a Roma, che vanta una tradizione solidissima in materia) come il «Don Pirlone», e neanche alle riviste del Novecento: il «Merlo giallo», il «Don Basilio», il «Candido» di Giovannino Guareschi, l'«Asso di bastoni», il «Travaso». Non giornali di polemica ideologica (e livida), ma organi di fronda, che distribuivano botte a destra e a sinistra, senza guarda in faccia a nessuno. Dopo la vittoria democristiana del 1948, il «Travaso delle idee» pubblicò una tavola a colori che mostrava Mussolini in posa nel saluto romano, Stalin con il braccio teso e il pugno chiuso, De Gasperi in tonaca nera con il braccio teso e due dita benedicenti. La didascalia diceva: «Il saluto che ci imposero, il saluto che volevano imporci, il saluto che ci imporranno». In quello stesso anno il giornale pubblicò a puntate «La mia vita col puzzone. Diario di Tobia il gatto di Mussolini», che esce in libreria, con lo stesso titolo (Le Lettere, euro 8,00) e con una bella prefazione di Francesco Perfetti. Il «gattiloscritto» era firmato da Tobia, ma fu opinione comune che l'autore fosse Guglielmo Guasta, un umorista di razza che aveva diretto il giornale dal 1920 al 1925, ed era tornato a dirigerlo dopo la fine della guerra (nel 1946), e sarebbe rimasto al suo posto fino al 1962. Al «Travaso» collaboravano molte firme storiche (da Achille Campanile a Federico Fellini, da Sandro Giovannini a Vittorio Metz, da Gianni Isidori a Jacovitti, il vignettista del salamino) che distribuivano equamente la loro ironia prendendo a bersaglio gli eccessi dell'antifascismo, la sudditanza dei socialisti ai comunisti, lo strapotere dei partiti, il distacco fra Paese reale e Paese legale. Casomai, se proprio si voleva cercare un minimo di parzialità, pendevano verso la destra più che verso la sinistra. Mentre oggi tutta la satira sta a sinistra, e tutti i bersagli si trovano a destra. In questi giorni - finalmente - esce nelle edicole «Veleno», una rivista (diretta da Alessio Di Mauro) che si definisce «anarchica di destra». E la speranza è che qualcuno dei collaboratori venga ingaggiato come autore dalla Rai o da Mediaset, per riequilibrare la satira del duopolio nel quale si esprime lo strapotere della vittima, cioè di Berlusconi, il monopolista nel ruolo di San Sebastiano. Il gatto di Mussolini, «tendenzialmente antifascista», ridicolizzava il regime e i suoi gerarchi, mettendo contemporaneamente alla berlina gli intellettuali e i giornal

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