Il presidente di Assobiotec Roberto Gradnik: ecco le possibilità della scienza del futuro
«Siamo indietro rispetto agli altri Paesi ma nessuno batte la nostra fantasia»
Questo il pensiero di Roberto Gradnik, presidente di Assobiotec, l'Associazione Nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie. Uno sviluppo, a dire il vero, che in Italia negli ultimi anni è andato avanti al rallentatore, ma che, secondo Gradnik, potrebbe portare all'economia del Paese enormi introiti. Basta crederci, appunto. Presidente Gradnik, qual è l'attuale situazione del polo biotecnologico in Italia? «Non è una situazione rosea. Per molti anni si è fatto veramente poco per sviluppare le biotecnologie e ora ci troviamo indietro rispetto al resto d'Europa. Tuttavia, in questi ultimi tempi stiamo assistendo a una crescita significativa». A cosa è dovuta la difficoltà incontrata dal settore? «Essenzialmente alla mancanza di una politica governativa mirata allo sviluppo della biotecnologia. L'industria farmaceutica, ad esempio, è indietro rispetto al resto del continente. Quella biotecnologica è un'industria ancora troppo poco sviluppata. La ragione delle difficoltà incontrate dal settore si annidano essenzialmente in una politica che in questi ultimi anni non ha certo favorito l'innovazione». Eppure, il Governo, nel commentare l'ultima Finanziaria, ha sottolineato l'aumento delle risorse destinate alla ricerca scientifica. «Di questo va dato atto all'esecutivo, non c'è dubbio. Tuttavia, negli ultimi anni si è fatto troppo poco e si potrebbe fare molto di più, soprattutto alla luce degli ultimi dati. Il nostro settore negli ultimi 60 anni ha avuto un notevole sviluppo, bisognerebbe cavalcare questo tasso di crescita». In che modo? «Ad esempio seguendo il modello francese, agendo cioè sulle giovani imprese, magari con agevolazioni di carattere fiscale. Gli investitori privati vanno sensibilizzati. A chi investe va fatto conoscere il settore delle biotecnologie. Tra gli imprenditori, da questo punto di vista, c'è ancora molta, troppa ignoranza». A suo avviso, in Italia ci sono capitali sufficienti per auspicare un notevole sviluppo dell'industria biotecnologica? «Le risorse economiche ci sono, eccome. In tutto il mondo, il settore delle biotecnologie sta vivendo un momento di notevole crescita: aumentano il numero delle realtà, di impresa e di ricerca. E anche per i cittadini cominciano a moltiplicarsi i prodotti frutto dell'applicazione di queste tecnologie. Oltretutto, è questo il concetto da far capire agli imprenditori, investire nelle biotecnologie costa relativamente poco. Basta agire "in rete": le industrie, cioè, collaborano con le altre imprese e con le università. Basta un piccolo team di ricercatori per ottenere grandi risultati. E in Italia, da questo punto di vista, ci sono sia capitali e che grandi menti». Lo sviluppo delle biotecnologie potrebbe anche aiutare ad aumentare la competitività del Paese, rilanciando cioè il made in Italy. Non trova? «Certamente è un'ottima opportunità. L'innovazione non è manodopera, è qualità. E nessun altro Paese del mondo può copiare l'inventiva, l'innovazione dei ricercatori italiani. Abbiamo ottimi ricercatori, ora serve valorizzarli». Può spiegare in parole semplici cosa si intende per biotecnologia? «È l'applicazione della tecnologia alla scienza della vita. Un concetto ampio, ma semplice allo stesso tempo. La biotecnologia consente di studiare il Dna per curare alcuni tipi di malattie, per creare medicinali e vaccini. Faccio un esempio: prima l'ormone della crescita, che combatte il nanismo, si otteneva dai cadaveri. Oggi non è più così: si creano proteine e ormoni che aiutano l'uomo dai batteri. La biotecnologia può essere molto utile anche nell'agricoltura. Certo, bisogna fare un uso etico di questa scienza. Ma all'interno dell'etica, tutto è possibile. Basta abbattere i tabù per avere, magari, un vaccino contro qualche grave malattia».