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Sbarco in Sicilia Sorrisi ai paisà e tanto eroismo

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Dall'Inghilterra revisione storica sull'atteggiamento degli italiani di fronte all'invasione alleata

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E ciò, spiace dirlo, grazie anche alla remissività di buona parte della pubblicistica italiana. Persino nelle rievocazioni delle battaglie di carri del fronte d'Africa, in cui le perdite inflitte al nemico furono cocenti come ben sanno i reduci inglesi, australiani, sudafricani ecc., è raro trovare smentite agli storici d'oltre Manica, che continuano a riconoscere quale solo avversario degno di quel nome l'Afrika Korps di Rommel. Ma quando una guerra si combatte male e si perde peggio, ci vogliono due o tre generazioni per emergere dal marasma morale che lascia. E quando un paese lo vince col fegato e i nervi con cui lo vinsero gli inglesi, ne deriva una rendita di posizione di durata analoga. Fa quindi piacere leggere, su di una pagina non proprio eroica (per noi) come lo sbarco alleato in Sicilia del luglio 1943, la ricostruzione di John Follain, che elogia lo sfortunato valore di alcune, se non tutte, le nostre truppe. Il libro, apparso con il titolo un po' incongruo di «Mussolini's Island» (Ed. Hodder & Stoughton) sarà, immaginiamo, presto tradotto con lo zelo che gli editori italiani riservano ai titoli stranieri che trattano di vicende nostrane, specie se ne parlano male. Qui invece se ne parla bene e ci permettiamo solo di mettere in guardia contro certi tecnicismi, per cui ad esempio il soldato avvinto a Mae , non abbraccia l'attrice hollywoodiana, bensì il salvagente gonfiabile che prese nome dalle sue forme prosperose. Follain non è uno studioso accademico e ci propone una sorta di "giorno più lungo" dell'operazione «Husky», come si chiamò lo sbarco. Ma la sua preparazione è solida, conosce minuziosamente luoghi ed eventi, ha intervistato decine di testimoni, tra cui i suoi protagonisti: due o tre ufficiali alleati, un tedesco, un italiano e una ragazzina catanese, simbolo dell'umanità e del dramma di tutto un popolo. Diciamo subito che il bravo ufficialetto italiano, anzi siciliano - pur piccolo, nero, sudato e gesticolante, secondo i migliori clichés anglosassoni - si mostrerà un osso duro. Dopo aver rifiutato di arrendersi, riuscirà a raggiungere tra mille peripezie prima la Calabria, poi i resti del suo reparto a Cuneo. Lì, all'annuncio dell'8 settembre, scoppierà per la prima volta in un pianto dirotto. Non per attaccamento al fascismo, ma per l'incapacità di gioire su di una guerra perduta. Schiacciata tra le ben più celebri operazioni «Torch» (l'invasione del Nordafrica nel novembre 1942) e «Overlord» (lo sbarco in Normandia del giugno 1944) la conquista della Sicilia può sembrare oggi modesta cosa, tanto più che si realizzò in meno di quaranta giorni. Ma non fu così. L'assalto al "ventre molle" dell'Asse, come lo chiamò Churchill, era stato preso molto sul serio dagli alleati che ne fecero una delle più grandi operazioni anfibie dell'intero conflitto. La pianificazione strategica, iniziata sin da gennaio, dipendeva direttamente da Eisenhower, allora comandante in capo alleato nel Mediterraneo. Ma Churchill, secondo i piani di "caccia riservata" britannici sull'Italia, fece fuoco e fiamme per imporre il proprio candidato, Montgomery, che si era coperto di gloria (e di pubblicità) ad El Alamein. "Monty" previde uno scontro lungo e sanguinoso giungendo perfino a sostenere che la caduta dell'isola non avrebbe costretto l'Italia alla resa! Alla fine il compromesso fu di sbarcare due distinte armate: la Settima americana (Patton) e la Ottava inglese (Montgomery). I due capi si detestavano, come è buona regola, e si attribuisce in gran parte alla loro rivalità l'insufficienza dei collegamenti sul terreno e l'alta percentuale di incidenti da "fuoco amico". Quanto alle difese dell'Asse erano sì imponenti, ma solo sulla carta: duecentomila soldati italiani, riuniti nella Sesta armata al comando del generale Alfredo Guzzoni, e cinquantamila tedeschi. Con una differenza: gli italiani, con un paio di eccezioni (le divisioni Assietta e Livorno) erano male equipaggiati, mentre i

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