Una religiosità solo esteriore
VISTO DAL CRITICO
Il suo regista, invece, che il film lo aveva realizzato solo per far soldi, sulla scia del successo della «Passione» di Mel Gibson, tornato a New York si dà in tutti i modi a farsi propaganda e, nono stante attorno, in attesa della prima, certi intergralisti lo contestino, si fa intervistare da un noto conduttore televisivo che, pure senza credere in Dio, sta realizzando delle trasmissioni su Gesù. Non si intendono molto anche perché l'altro, avendo ritenuto di dover intervistare telefonicamente a gerusalemme l'attrice, non gli dà le priorita cui aspirava. Se il regista ha i suoi problemi, motivati soprattutto dal suo egoismo, il conduttore ne ha di ben più gravi perché sua moglie, senza che lui, preso dal suo lavoro, abbia fatto in tempo a soccorrerla, ha avuto un parto prematuro e ora lei e il bambino sono in fin di vita all'ospedale. Disperato, il conduttore telefona di nuovo all'attrice per chiederle consiglio e lei, pur sapendolo ateo, gli dice di pregare. L'altro le dà retta e la moglie e il bambino si salvano. Ci ha raccontato queste tre storie un regista come Abel Ferrara che pure si era aperto spazi lusinghieri nel cinema di Hollywood. Si pensi, di recente, a «Fratelli» e a «The Addiction», senza dimenticare, nei primi anni Novanta, «Il cattivo tenente». Qui intreccia fra loro in modo piuttosto precario le sue diverse vicende. Al personaggio di Marie che, fin dal titolo, si tende a indicare come protagonista, riserva scarsi spazi psicologici, specie all'interno della sua crisi, privilegiando semmai, nella figura della Maddalena che la ispira, quelle sue discutibili interpretazioni tratte dai vangeli molto apocrifi e da leggende riprese di recente da alcune riletture libresche. Di quello del regista fa solo un profittatore e un cinico, mentre il tragitto del conduttore dall'ateismo alla preghiera finisce per affidarlo solo a un facile miracolismo esteriore. Dei ritmi ansiosi comunque non mancano e riescono a sostenerli con forza delle immagini tutte strette attorno ai personaggi, ricreate, spesso nel buio, da un abile direttore italiano della fotografia, Stefano Falivene. Nella parte del titolo, Juliette Binoche. Il regista è Matthew Modine, il conduttore è l'afro-americano Forest Whitaker. Fanno del loro meglio.