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Ne «La miscellanea di Schott» la storia universale del perder tempo

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E da sempre l'uomo viene messo in guardia da questo falso amico che avviluppa nel suo abbraccio molle. Oltretutto profumato: una bella distrazione per chi dovrebbe essere attivamente impegnato nei «negotia» della vita. E cioè studio, lavoro, famiglia ecc. ecc… San Matteo non fa sconti e così si esprime: «Nel giorno del Giudizio gli uomini renderanno conto di ogni parola d'ozio che avranno pronunciato». Caspita! Siamo in molti, nel mondo, allora, ad essere messi maluccio. Henry Ford, forse ispirato inconsciamente da San Matteo, ritiene che non ci sia posto per gli oziosi in quella civiltà moderna dove nessuno ha il diritto di rallentare il ritmo. C'è anche chi, come Lord Chesterfield, vede l'ozio come rifugio per le menti deboli che non si danno affatto pena di andare a fondo nelle cose, fermandosi, così, alle prime difficoltà. A salvare, però, l'ozio dalla ghigliottina di moralisti e stacanovisti sono altri illustri personaggi. Come Oscar Wilde che sosteneva di provare un irresistibile impulso per il vagabondaggio: l'ozio era addirittura la condizione della perfezione. E qui andava d'accordo con i latini per cui «otium», oltre che riposo, è attività dello spirito e contemplazione filosofica. E come Rousseau che adorava occuparsi di inezie, di cose prive di importanza e confessava apertamente quanto gli piacesse fare il perdigiorno. A chi dar ragione, dunque? Agli sprezzanti dell'ozio o ai suoi amanti? Da quale parte schierarsi? Per non scontentare nessuno, il trentunenne scrittore londinese Ben Schott, inventore di quella celeberrima «Miscellanea» che racchiude mille divertentissime informazioni utili/inutili (Sonzogno, 2004), raccoglie, in questo nuovo pimpantissimo manuale, ogni informazione o aneddoto possibile anti e pro-ozio («La miscellanea di Schott: giochi, sport e oziosità», Sonzogno, 160 pagine, 15 euro): il geniale ragazzone ha unito tutti quei pezzi che formano il puzzle sullo svago e sul divertimento. Qui c'è tutto o quasi per gli amanti dei giochi, anche quelli d'azzardo, o per gli appassionati di sport. Si va dalle più semplici regole dei più noti passatempi agli imbrogli e alle astuzie, dai solitari con le carte al Palio dell'Anguria, dai segreti del backgammon alla classificazione degli scarabocchi. È una sequenza di passaggi logici-illogici da un argomento all'altro. Utile per le più svariate categorie di persone, può esserlo anche per le fans di David Beckham, per quelle vere non per quelle allupate, perché qua lo spice-boy viene messo a nudo, non con una delle tante foto-calendario, ma con la conta esatta dei suoi tatuaggi: da una croce alata sul retro del collo a un angelo custode sul culetto e ne restano ancora nove…. Sempre a proposito di calcio, è curioso scoprire come sia stata una leggenda del nostro giornalismo a coniare neologismi, soprannomi, modi di dire rimasti poi nella lingua italiana. Chi di noi sa che termini calcistici come libero, centrocampista, catenaccio, contropiede sono tutti figli di Gianni Brera? Scommetto che siamo in pochi ad alzare la mano. Se il calcio è anche sfida, figuriamoci il gioco d'azzardo. Schott, partendo dal mito, spara mille curiosità, miscelando casinò, corse dei cavalli, gambilng on line. Un gioco d'azzardo messo a fuoco, però, anche nelle sue sfaccettature patologiche, che possono portare alla compulsività. Infatti, il manuale riporta l'elenco di domande, ideato dal gruppo di sostegno Gamblers Anonymous e usato per aiutare i giocatori a riconoscere la loro dipendenza. Dipendenza che, secondo recenti studi, con il passare degli anni, può ammazzare il giocatore. Morire giocando, quindi, e nel peggiore dei modi. Ma si può, anche, morire dal ridere. Qui non si tratta, però, del celebre modo di dire. Ma di dati di fatto. Sempre spulciando il manualetto, si scopre, ad esempio, che un certo Zeusi, pittore del V secolo a.C., morì dalle risate alla vista di una megera che aveva appena dipinto. Ma quello di Zeusi non è l'unico caso di «morte allegra». Nel 1782 fu una disastrosa i

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