Roma violenta tra erotismo e potere
Per vero dire, quasi tutto. Dalle sue lupesche origini ai nostri allupati giorni. Osservava Henry James che ben a ragione questa città viene chiamata «eterna», perché eterno è senza dubbio l'effetto che produce sulla coscienza: si ama la sua corruzione piú dell'integrità d'altri luoghi («Continental sketches»). Una città «mediorientale» nelle radici e nel carattere, che fin dall'Antico s'è mostrata, di là dalle sontuosità cerimoniali e da un'equivoca bonomía, opificio di violenze e vizî. È stata nella Rinascenza, accosto ai fulgori dell'arte, sentina di mene e spudorato meretricio; nel Risorgimento, covo di reazione ed alienazione. A tacere del tempo seguente, o sia dell'orrido Novecento che non ha risparmiato dei suoi orrori e della sua decadenza manco questa snervata, ondivaga capitale. A parlare della Roma antica, torna un insigne latinista (ed anche romanziere): Luca Canali, già fra gli assistenti prediletti dal grande Paratore, e lui stesso docente negli Atenei in Roma e Pisa. «Erotismo e violenza» (Piemme, pgg. 203, euro 15,90), il titolo del libro in questione che, piano e distaccato nei toni, getta un fascio di luce sinistra su le birbonate, gl'istinti belluini, la famelicità che contraddistinsero il popolo quirite, da prima con la Repubblica, di poi coi suoi dittatori ed imperatori, nell'epoca d'una civiltà quasi numinosa fondata sulla volontà di potenza ed intesa al piú disfrenato degl'imperialismi possibili. E tre accidenti e date ci rammenta il Canali se l'avessimo mai dimenticati sui lontani banchi della scuola: la distruzione di Cartagine nel 146 a.Ch.n.; la distruzione di Corinto nel 146 a.Ch.n. e la distruzione di Numanzia nel 133 a.Ch.n., ove a trionfare fu la cieca ferocia dei legionarî capitolini, sitibondi di sangue e bottino, chiusi ad ogni spiraglio d'umanità. Né piú creanzato si portò Cesare nella campagna di Gallia, segnata dallo scempio di torme inermi: madri, bambini, vecchî; né pietà veruna s'impiegò da Germanico in Germania, al trafiggere per turpe giuoco coll'arco i fuggitivi sgattaiolati su per gli alberi della foresta, etc.... Sui manuali da sempre in uso, Roma antica è nimbo solare: casto faro di progresso ed eroico monito d'eticità civile. Gli è che la storia è sempre scritta dai vincitori, i quali tranciano giudizî a proprio vantaggio ed in sommo dispregio all'evidenza del vero: per ciò essa mai è stata in grado d'insegnarci alcunché, non ostante sia avvezza a ripetersi meccanicamente come un idiota (soleva rilevare Paul Morand). Ed una serqua d'altri misfatti ci chiama a mente il Canali, a dilatare ed ispessire l'ombre entro cui la città eterna e la sua grezza sensibilità andavano beccheggiando. Da Tiberio a Domiziano, gli annali quiriti valgono un opificio di sordide congiure e repressioni efferate. Paradimmatico Leitmotiv è la morte cruenta di taluni tardi Cesari nel rovinare della crisi e nella «Dämmerung» d'una civiltà: dallo scannamento di Galba alla scarnificazione di Vitellio, che un uncino trascinò sino al Tevere: ad intorbidirne vieppiú le traccheggianti acque. Non solo il potere. La brutalità, l'inciucio, la foia, la depravazione sotto il niveo manto dell'ethos registra Roma anche nei costumi sessuali. Ottaviano che asceso al potere intende porre al centro della sua impaginazione politica la «questione morale», come a dire il ritorno ai prischi costumi, nel privato d'ovattate stanze non sente remora a dar libero sfogo alle pulsioni d'una natura esigente con mucciacce e miss: amabilmente cedevoli all'audacia d'un maschio senza tanti squinci e squindi. La donna romana: o mater o meretrix. L'intellettuale latino le è di norma ostile. Ecco la lussuria di Lesbia, amante intermittente di Catullo, il quale alla fin fine si volge a teen-ager piú souples, bollando il sesso debole di mignottaggine. Anche Orazio e Virgilio non magnificano le figlie d'Eva, soppesandone la perniciosa volubilità e l'incolmabile incontinenza erotico-gaudente. Meglio chiudere un occhio a petto dell'omosessualità: Caesar del resto è stato l'amante (passivo)