Anche le sette influenzano il nostro parlare
Di tanti meriti acquisiti pochi ne hanno quanti ne ha accumulati a poco più di trenta anni Massimo Arcangeli, linguista, critico letterario, docente universitario a Cagliari e direttore di una corposa rivista specialistica di italianistica, «Li d'O», una vera miniera di informazioni di glottodidattica e di storia della letteratura italiana. In «Lingua e società nell'era globale» (Roma, Meltemi, pgg. 168, euro 16), la sua ultima produzione, affronta dal versante della linguistica italiana alcuni temi cruciali e talune problematiche, tra quelle di maggior respiro, che trovano più facile accoglienza nell'età presente, sempre più dominata dal fenomeno globale. Un fenomeno che l'autore affronta passando innanzitutto in rassegna alcuni dei concetti che, meglio di altri, esprimono il senso di un dominio economico-culturale su scala mondiale che sembra ormai sempre più inarrestabile e considerando quindi, naturalmente, le implicazioni linguistiche di ciascuno dei concetti passati in rassegna. Anche nella prospettiva di una diagnosi, e di una plausibile prognosi, sulle condizioni dell'italiano e di altre tra le maggiori lingue di cultura. Quali sono allora le parole-chiave che, meglio di altre, sono in grado di restituirci il senso di quella che, con termine assai abusato, viene comunemente definita globalizzazione (non sarebbe meglio chiamarla mondializzazione)? E perché la globalizzazione, se per un verso unisce, per un altro verso è al contrario fattore di profonde e laceranti divisioni? Quale futuro destino attende la nostra lingua, sempre più stretta, come altre lingue di cultura, nella morsa dell'anglo-americano? E quali cambiamenti produrrà sulle generazioni degli apprendenti di domani il passaggio epocale da una cultura fondata da secoli sulla trasmissione scritta del sapere a una che, sempre più frequentemente, viaggia lungo i binari invisibili del trasporto via Internet? A questi e ad altri numerosi interrogativi l'autore tenta di fornire più di una risposta nei primi tre dei sei capitoli in cui è divisa l'opera, che tocca invece nei restanti tre alcune questioni per così dire applicative del problema globale: l'influenza esercitata dall'anglo-americano sul linguaggio della borsa, più sensibile che nelle altre maggiori lingue europee (dal francese allo spagnolo al tedesco); l'«offerta» linguistica di alcune sette e movimenti religiosi, immagine di un mercato mondiale che ha ormai invaso anche i territori della fede; la crescente diffusione, talora pervasiva e irritante, del politically correct, affrontato con le armi leggere dell'ironia per l'involontaria comicità che investe talora alcune sue manifestazioni più estreme. Il tutto alimentato dall'indipendenza di un pensiero che non ci sta a divenire «pericolosamente unico», che guarda ai vari problemi chiamando ripetutamente in causa le più recenti riflessioni in materia di pensiero globale (non solo dell'ambito linguistico ma ancora filosofico, politico, sociale), che cerca di trovare risposte nella nostra tradizione nazionale e occidentale senza rinunciare a confrontarsi con i nuovi assetti planetari ma senza nemmeno cedere alle tentazioni «puriste» di volere affidare la difesa della nostra lingua agli interventi «ope legis». Alla fine di questo viaggio nell'italiano all'inizio del terzo millennio il lettore viene investito dalla sensazione di essere approdato di volta in volta a tanti piccoli porti che, nel grande oceano del potere e della comunicazione globale, consentono di trovare preziosi e fortunati appigli. Tra apocalittici e integrati, insomma, Massimo Arcangeli sceglie il giusto mezzo. *Segretario Generale della Società Dante Alighieri