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La dorata impunità dei razzisti italiani

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Le virgolette esprimono un sospetto (legittimo quanto atroce) riguardo alla loro competenza scientifica, certamente usurpata, quanto meno sotto il profilo morale. Perché in quel documento si teorizzava un crimine spaventoso: lo sterminio degli ebrei. Quel Manifesto fu lo sgabello scientifico sul quale poggiò la «Dichiarazione sulla razza» (approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 6 ottobre successivo) e delle leggi razziali, approvate in quello stesso anno, che provocarono la persecuzione di quarantatremila ebrei italiani, la deportazione e la morte di ottomila. Basta leggere i titoli dei dieci articoli che compongono il testo per rendersi conto delle "corbellerie scientifiche" in esso contenute; 1) Le razze umane esistono; 2) Esistono grandi razze e piccole razze; 3) Il concetto di razza è concetto puramente biologico; 4) La popolazione dell'Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà ariana; 5) È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in termini storici; 6) Esiste ormai una pura "razza italiana"; 7) È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti; 8) È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte, gli Orientali e gli Africani dall'altra; 9) Gli ebrei non appartengono alla razza italiana; 10) I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. Franco Cuomo, giornalista e scrittore, ha pubblicato un saggio che rievoca quella pagina vergognosa e terribile: «I Dieci - Chi erano gli scienziati italiani che firmarono il Manifesto della razza» (Baldini Castaldi Dalai, 14.50 euro). A quasi settant'anni di distanza i nomi dei firmatari possono risultare sconosciuti a molti lettori. Ma rievocandone la storia successiva, Cuomo sottolinea l'aspetto più grave di tutta la vicenda. Nessuno di loro fu punito dopo la caduta del fascismo. Nessuno ammise il proprio errore. Tutti restarono al loro posto, proseguendo le loro carriere, in alcuni casi molto brillanti. I dieci erano (in ordine alfabetico) Lino Businco (medico patologo), Lidio Cipriani (antropologo) Arturo Dosaggio (neuropsichiatra), Leone Franzi (pediatra), Guido Landra (antropologo), Nicola Pende (patologo), Marcello Ricci (zoologo), Franco Savorgnan (demografo), Sabato Visco (fisiologo e biologo), Edoardo Zavattari (zoologo). Alcuni divennero baroni universitari (Pende, Visco, Zavattari), ricevettero - anche dopo la guerra - prebende, onori. Dopo la morte gli sono state intitolate strade, borse di studio, scuole, aule universitarie. Sottolinea Cuomo che «a differenza dei criminali nazisti - medici inclusi, a cominciare dal terrificante dottor Mengele, autore di atroci esperimenti sui bambini per il "miglioramento" della razza - gli zelanti promotori delle leggi razziali italiane non dovettero nascondersi, non dovettero rifugiarsi nell'anonimato di una falsa identità, non dovettero emigrare in Sudamerica. No: conservarono i loro nomi, i privilegi e le cariche fino allora ricoperte nelle università e negli istituti di ricerca». Questo perché «l'Italia non ha avuto un suo Simon Wiesenthal, non ha avuto qualcuno che con metodica determinazione si dedicasse all'identificazione e alla cattura di coloro che (autori diretti, complici o ispiratori) causarono morte, sofferenza e sterminio al popolo ebraico e a chiunque non rientrasse nei canoni prescritti dai loro deliranti codici selettivi». L'omissione non riguarda soltanto i dieci. Riguarda anche i 329 personaggi che si affrettarono ad aderire (per convenienza, per carrierismo, per insipienza, per viltà, o - persino - per intima convinzione) a quelle "corbellerie scientifiche". Scorrere l'elenco provoca qualche sussulto. Perché oltre ai nomi di alcuni intellettuali e artisti molto vicini al regime fascista (Ardengo Soffici, Giovanni Papini), vi si trovano molti altri personaggi che nel dopoguerra - passati su altre sponde - fecero carriere importanti, o dive

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