Settant'anni di storia dalle leggi razziali finoal duello Prodi-Berlusconi con testimonianze inedite
Dopo tanti anni di democrazia, avevo difficoltà a fare il conto dei ragazzi che ho accompagnato al camposanto. Luigi De Rosa a Sezze, Benedetto Petroni ucciso a Bari a colpi di cacciavite, Ciro Principessa a Roma. Naturalmente c'erano vittime anche dall'altra parte. Acca Larentia...». Acca Larentia è il nome della strada del quartiere Tuscolano a Roma dove ha sede una sezione del Msi. La sera del 7 gennaio 1978 alcuni giovani attivisti missini uscirono dall'edificio. Erano attesi da un commando terroristico, che sparò sul gruppo. Restarono a terra due ragazzi, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, figli rispettivamente di un impiegato e di un operaio che, poco dopo, si sarebbe suicidato. Via Acca Larentia si riempì di missini frementi di rabbia. Un giornalista e un operatore televisivi che erano giunti sul posto stavano fumando e uno dei due gettò inavvertitamente quel che restava di una sigaretta in una pozza di sangue. Scoppiò una rissa, che i carabinieri ritennero di dover fermare con un lancio di candelotti lacrimogeni. Il segretario nazionale del Fronte della gioventù, Gianfranco Fini, rimase ferito a una gamba. Qualcuno sparò in direzione dei militari, un ufficiale dei carabinieri rispose al fuoco e uccise Stefano Recchioni, 19 anni. «Recchioni» mi dice Gasparri, allora segretario provinciale del Fronte della gioventù «era venuto con noi ad Acca Larentia quando sapemmo dell'agguato. Avevamo fatto volantinaggio nel quartiere Prati per protestare contro il decreto del ministro dell'Interno Cossiga che, dopo la morte dello studente Walter Rossi, aveva ordinato la chiusura di alcune sezioni del Msi. E morì, colpito dalle pallottole del capitano Edoardo Sivori». L'indomani l'azione terroristica fu rivendicata da un volantino che diceva: «Un nucleo armato, dopo un'accurata opera di controinformazione e controllo della fogna nera di via Acca Larentia, ha colpito i topi neri mentre stavano uscendo dal loro covo per un'ennesima azione squadristica». Le organizzazioni dell'estrema sinistra si divisero: Daniele Pifano approvò l'azione, Oreste Scalzone la condannò. Anni dopo si scoprì che una delle armi dei terroristi che avevano sparato in via Acca Larentia era stata usata per altre azioni terroristiche delle Brigate rosse. Chi aveva ucciso quei ragazzi? Nove anni dopo una pentita, Livia Todini, fece dei nomi. Erano ex militanti di Lotta continua. Le conseguenze dell'attentato di Acca Larentia furono di due tipi: primo, quel giorno le azioni squadristiche rosse di strada si saldarono con il terrorismo; secondo, esso fu il seme per la nascita del terrorismo nero organizzato. «Acca Larentia fu uno spartiacque» mi conferma Fini, che nel giugno 1977 era diventato segretario nazionale del Fronte della gioventù. Aveva detto a Baldoni e Provvisionato, per il loro libro, che nelle sezioni missine c'era contrasto in quel periodo tra chi si definiva fascista e chi nazista. «Ma è dopo Acca Larentia che alcune frange minoritarie fanno il salto. C'è chi dice: "Difendiamoci prima che ci ammazzino tutti". Ma questo senza un preciso progetto politico, una strategia. È un salto finalizzato a far vedere che esistevano anche loro». «Valerio Fioravanti e Alessandro Alibrandi, che fino a quel momento avevano gravitato intorno al Msi» conferma Gasparri «passarono allo spontaneismo armato». Ordine nuovo e Avanguardia nazionale erano stati sciolti d'autorità. Pino Rauti, che nel 1956 aveva costituito il primo, riuscì forse ad arginare l'emigrazione dei suoi verso la lotta armata. Paolo Signorelli, uscito dal gruppo rautiano, fondò Costruiamo l'azione. Arrestato nel 1980 con l'accusa di tre omicidi e della strage di Bologna, fu completamente scagionato dopo dieci anni di carcere. Il suo movimento si avvicinò agli autonomi per superare le ideologie «fino a ricongiungerci con una visione della vita in un solo popolo che lotta». Sulle ceneri di Avanguardia nazionale, Giuseppe Dimitri e Roberto Fiore fon