L'eroina di von Trier predica la libertà tra i neri ma non convince
ABBIAMO lasciato Grace, impersonata da Nicole Kidman, abbandonare Dogville dove, per vendicarsi dei soprusi che vi aveva patito, consentiva al padre, un temibile gangster, di far fuori tutti. Adesso, con il viso meno espressivo di Bryce Dallas Howard, la figlia del regista Ron Howard, la ritroviamo nell'Alabama intenta a far sapere agli schiavi di una piantagione di cotone a Manderlay che per legge da settant'anni sono liberi e possono muoversi ed agire in questo senso. Non ottiene molto, però, perché quegli schiavi, vissuti da sempre nei binari della schiavitù, tra leggi ferree e terribili punizioni corporali nel caso vi trasgredissero, non riescono ad adeguarsi alla libertà. Non sanno darsi orari, criteri di lavoro nei campi, modi diversi di comportarsi fra loro e con i bianchi, così quella che, secondo Grace, avrebbe potuto diventare una bella convivenza civile, tenuta in ordine da regole e principi democratici, rischia di finire nel caos. E quando, dopo molte fatiche, anche per sormontare delle avversità naturali, si arriverà ad un buon raccolto del cotone e una sua vendita soddisfacente sul mercato, ci sarà qualcuno e proprio tra gli ex schiavi neri, che sottrarrà il denaro così ottenuto. Alla fine, perciò, Grace se ne andrà. In attesa che la libertà e la democrazia anche lì vengano messe a profitto. Siamo del resto nei Trenta. L'integrazione vera deve ancora imporsi a vincere. E non solo tra i bianchi. Pessimismo dunque anche qui, come già in «Dogville». E anche qui, per esprimerlo, Lars von Trier, rinnegando per la seconda volta il suo Dogma 85 votato al realismo, ha costruito uno spettacolo tutto fabbricato su un palcoscenico in cui le scene, anche quelle per gli esterni, sono finte o, addirittura immaginarie, come in «Piccola città» di Thornton Wilder. Mentre una voce narrante segue e commenta le gesta della protagonista dicendo sempre molto di più di quello che si vede. Per farlo «vedere», comunque, la regia di Lars von Trier, pur accettando intenzionalmente (e polemicamente) il teatro, si è mossa in mezzo ai personaggi con ritmi in qualche momento perfino tesi, componendo, grazie anche a una fotografia dai valori figurativi molto forti, delle immagini di incisivo risalto: sia nelle scene singole sia in quelle corali. Ma anche con questo tanto i temi quanto i modi stentano a convincere.