Quel gran bugiardo di Virgilio
L'incendio di Troia, l'inganno del cavallo, la passione di Didone, i vaticini della Sibilla cumana, la discesa ai campi Elisi, la furibonda guerra fra troiani e latini. Questo e molto altro incontriamo nelle pagine del nuovo e avvincente libro di Antonio Spinosa «La grande storia dell'Eneide. Dall'incendio di Troia alla gloria di Roma» (in uscita l'8 novembre da Mondadori, pgg.266, euro 18). Da anni Antonio Spinosa, che ama definirsi «narratore di storia», si dedica a riscoprire e reinterpretare eventi e personaggi che hanno cambiato l'Italia e il mondo. Con questa sua fatica letteraria torna ad occuparsi della romanità, ma come lui stesso ci ha detto, «facendo il verso a Virgilio» e riscrivendo, a suo modo, la mitica saga del più grande eroe epico della letteratura latina. Ci ha concesso un'intervista e una breve, ma gustosa, pagina del libro. Perché ha voluto "riscrivere" l'Eneide e quale messaggio crede che essa possa offrire ai lettori del Terzo millennio? «Nella mia "rilettura" del capolavoro virgiliano ho cercato di far emergere quella che giudico la fondamentale e sbalorditiva attualità storica e politica del poema. Virgilio colloca la radice di Roma, assurta a simbolo dell'Occidente, nel Vicino Oriente, condensando nel protagonista Enea gli ideali nati dal fruttuoso incontro fra due civiltà diverse. Non dimentichiamo che Troia si trova nell'odierna Turchia, un paese che entrerà nuovamente a far parte del Vecchio Continente». Altre novità? «L'Iliade e l'Odissea sono state scritte e riscritte più volte, l'Eneide solamente tradotta in versi o in prosa, mai romanzata. Questa è la nova res del mio lavoro e spero che appassioni i lettori, soprattutto i più giovani ai quali rivolgo questo libro». Il motivo di questo suo voler avvicinare i giovani alla lettura dell'Eneide? «Indubbiamente, anche Lei, Mastroianni, negli anni di scuola media e superiore sarà stato tediato con le noiose ed erudite parafrasi dell'Eneide. Talvolta negli anni scolastici si crea una disaffezione per il testo di Virgilio, eppure esso è appassionante - possiamo dirlo? - quanto un romanzo di Dumas e struggente quanto un dramma di Shakespeare». Quale personaggio del poema l'ha interessata maggiormente? «Senza dubbio Anchise. Il vegliardo degli eneadi rappresenta, con la sua nobiltà d'animo e la grande saggezza, la vera memoria storica per i profughi troiani. Egli non ebbe la ventura di arrivare nel Lazio, morì in Sicilia presso l'antica Drepanum - Trapani -, ma testimonia quanto gli antichi rispettassero e onorassero la vecchia, il simbolo del passato e il pilastro portante del presente». Quale personaggio, invece, l'ha affascinata? «Didone! È l'eroina tragica del poema, un personaggio che Virgilio tratteggia con colori tenui e caldi. Apparentemente forte e intraprendete Dido regina è una donna fragile e una vittima predestinata del Fatum o, forse, del capriccio degli dèi. In lei c'è passione, un sentimento che in Enea, pur tanto "pius", non sempre si ha modo di riscontrare». Che cosa intende? «Vorrei dire che Didone non viene trasfigurata, resta tutta umana, avvinta dalla propria passione. Non a caso Dante la pone in una delle più belle cantiche dell'Inferno». Da ciò sembra di capire che lei non ritiene Enea tanto «pius»? «Non credo che lo sia stato. Certamente l'eroe troiano rispetta fino in fondo il dettame degli dèi, ma a che prezzo? Dove arriva procura solamente morti, stragi e dissapori. Abbandona la donna amata che le offre il regno e se stessa; arrivato nel basso Lazio alla foce del Numico - vicino l'odierna Pratica di Mare - subito attacca briga con gli Aborigeni del re Latino e non disdegna la proposta di strappare la bella principessa Lavinia al suo legittimo pretendente, Turno, il re dei Rutuli». Insomma se Enea non fu «pius» neanche Virgilio fu tanto veritiero nel narrarne le gesta. «Virgilio fu menzognero! Egli aveva il compito di esaltare il nuovo