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Così Didone è travolta nella grotta dalla foga d'amore per l'eroe troiano

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Enea legava i cavalli a un robusto tronco, che giaceva abbattuto delle intemperie, e raggiungeva Didone nella spelonca. L'aria era fredda e carica di umidità, il cielo plumbeo e appena rischiarato dai bagliori dei lampi. Le pareti dell'anfratto roccioso erano ricoperte di muschio bianco e morbido, quello stesso che i cartaginesi usavano per ricavarne olio profumato. Didone si liberava del mantello porporino grondante acqua, scioglieva i lunghi capelli perché si asciugassero. Appariva meravigliosa con la corta e umida tunica aderente alle sinuose membra che Enea era lì a contemplare, ammaliato. Improvvisamente i loro sguardi s'incrociarono. Accosciata sul muschio era Didone - ancora ansimante per la lunga corsa a cavallo - mentre Enea - privo dell'elmo crestato e della bronzea armatura - era ritto dinanzi a lei. Un silenzio irreale li avvolgeva nella grotta, un silenzio di tanto in tanto interrotto dal canto di aeree ninfe spettatrici di un imminente amplesso amoroso. Enea fremeva nell'avvicinarsi a Didone. Lei si distendeva dolcemente sul tappeto di muschio della grotta. Sentì la mano di lui, tenera e disperatamente avida, sfiorarle soavemente il volto e poi accarezzarle le membra. Ancora imperversava la tempesta per volontà di Giunone, mentre i due amanti si stringevano sempre più. La regina giaceva immobile, come fosse immersa in un sonno. Rabbrividì nell'avvertire che la mano di lui si muoveva delicatamente tra le sue vesti e che le sfiorava, fra lunghi sospiri, il ventre morbido e caldo. Poi le sue labbra si soffermarono in un lungo bacio sull'ombelico. Lo scroscio della pioggia sembrava svanito mentre la grotta era come immersa in un'aura olimpica, di pace e di immobilità. Due corpi, nudi e bagnati, giacevano sull'aromatico muschio. Didone taceva sogguardando l'eroe troiano che le era disteso al fianco: ora non le appariva più un dio, ma un uomo come ogni altro. Sicheo le era svanito dalla mente, e lei ricordava soltanto l'indescrivibile piacere che aveva provato nell'essere di nuovo accarezzata e amata. Pensava che da quel momento non avrebbe più potuto vivere in solitudine, in un'esistenza priva delle gioie che la natura aveva riservato ai suoi figli. Giunone, regina deorum, fugava le nubi dal cielo e lanciava nella spelonca un tiepido raggio di sole per la gioia degli amanti. Lei, che aveva accanto Venere, appariva però pensierosa ben sapendo che presto tutto si sarebbe mutato in sciagura, poiché il Fato si disponeva ad influire negativamente sui destini di Enea e di Didone. I due giovani invece trascorrevano immemori l'inverno fra incontri amorosi, banchetti e partite di caccia sui monti o lungo le spiagge d'Africa, perduti nell'amore. Enea… Era confuso e non sapeva più che cosa fare».

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