«L'emozione più bella è il duetto con Santana»
Melodie pop e testi diretti che parlano a tutti, uniti a una voce inconfondibile, lo hanno consacrato come uno dei musicisti italiani di maggior successo dell'ultimo decennio. Lui è Biagio Antonacci che oggi sbarca al Palalottomatica di Roma per presentare i brani dell'ultimo album «Convivendo parte 2» che, uscito lo scorso 11 febbraio, permane nei primi posti della classifica. Un grande consenso di pubblico che ha fatto risalire nella classifica di vendite anche «Convivendo parte 1», pubblicato nel 2004, con il quale Antonacci aveva intrapreso il progetto «Convivendo»: incidere due album a distanza di pochi mesi e venderli al prezzo di 11 euro. Il risultato è stato la vendita di circa un milione di copie che addirittura gli ha permesso di volare Oltreoceano, a Hollywood, per ricevere il premio come «Best Male Selling Italian Artist» ai World Music Awards 2005. Antonacci, racconti come è andata. «È stato galvanizzante cantare con una platea che ascolta attonita una ballata come "Pazzo di lei". E pensare che qualche minuto prima sullo stesso palco c'erano artisti del calibro di Stevie Wonder, Beyoncé, Mariah Carey. Ciò dimostra che non importa in che lingua si canti. Noi italiani vinciamo con la melodia e, nel mio caso, con la voce roca». L'emozione più grande? «Santana mi ha chiesto di fare un duetto con lui nel mio prossimo album». Tanto successo. In cosa si sente cambiato rispetto agli esordi? «Quando mi guardo indietro, mi rendo conto di quante cose sono cambiate. Ed è vero, in fondo, quello che dice la gente: Quando si taglia un traguardo del genere, qualcosa cambia. Come prevedibile, ho scoperto che il Biagio ventenne, trentenne e quarantenne sono persone completamente diverse tra loro». Come è avvenuta questa metamorfosi? «In passato, anche nel momento della mia esplosione, mi sono sempre chiesto se davvero sarei riuscito a fare questo mestiere fino a quando avessi superato la soglia dei 40. Però oggi qualcosa mi manca. Non mi anima più lo stesso senso di meraviglia. Se oggi guardo avanti, ho la certezza che al traguardo dei 50 la musica sarà ancora la mia vita». È una bella sensazione? «Assolutamente sì. Ma sono altre, le domande che mi faccio ora. Chissà se a 50 anni avrò ancora voglia di cantare». Crede di aver commesso degli errori durante la sua carriera? «Sì. Mi sono sempre preoccupato troppo. Non mi sono goduto il momento. Ma è un discorso che, nel mio caso, vale più in generale nella vita. Mi sono sempre fatto carico di tutto, anche di cose banali. Oggi, però, ho imparato la lezione». Cosa le ha fatto cambiare idea? «Credo che la risposta sia nella poesia di Neruda "Lentamente muore". Dice: "Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce"...». Cosa le ha permesso di evitare il rischio di diventare schiavo dell'abitudine? «Mi sono messo sempre in gioco. Anche sulle piccole cose». Oggi c'è qualcosa rispetto a ieri che la spaventa? «L'idea di dovermene andare, un giorno, senza aver finito tutte le cose che devo fare. Ne ho da finire un milione. Ma, soprattutto, vorrei essere ricordato come un padre che non ha tolto i sogni ai propri figli».