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«A Lampedusa ero stato in un centro di accoglienza due giorni prima che ci finisse quel giornalista... Era tutto tirato a lucido, volevano fare bella figura»

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Io cantai questo pezzo, "Annabel Lee", ispirato a una poesia di Edgar Allan Poe. Ero un dark ante litteram, vestito di scuro, con gli occhialoni. Mi allentai il nodo della cravatta per dare più pathos all'interpretazione. Il fonico mi disse: fra sei mesi ti facciamo sapere. Anni più tardi trovai la "lacca" di un'altra registrazione. Il direttore artistico della casa discografica ci aveva scritto sopra, a pennarello: "Questo Baglioni non farà mai niente"». Invece, eccolo qui, duecento canzoni e 38 anni più tardi, a raccontarsi attraverso quella che lui ama definire «una collezione, non un'antologia, per mostrare la strada che ho alle spalle, sperando di farne altrettanta». Un inedito, "Tutti qui", a dare la «visione panoramica di ciò che è stato», quaranta classici («i miei monumenti, che a guardarli a volte mi hanno dato claustrofobia, ma ormai ci ho fatto pace», ammette), più tre rarità: quel preistorico "Annabel Lee", "La suggestione", scritto per Rita Pavone e da lei portato al successo in Francia, e "Ci fosse lei", la versione primigenia della canzone del secolo, "Questo piccolo grande amore". «A risentirne oggi il prototipo sembrano due o tre idee appiccicate con la colla, ma erano i tempi del pop sinfonico. Ma anche la versione finale è divisa in più parti...». L'ha odiata, Baglioni, la sua serenata trans-generazionale: «Un brano così amato minaccia tutto quel che verrà dopo, e tu temi che nulla sarà mai all'altezza. E rischi di vedere il pubblico come un nemico, perché guai a ripudiarlo, il "Piccolo grande amore". Ma ora lo sento come parte della mia eredità, e anche se l'artista deve essere libero e strafottente, non deve dimenticare mai che il pubblico è il suo capufficio». Claudio avverte sulla sua pelle la responsabilità di essere cresciuto nella casa di vetro dell'arte: e il ragazzo degli anni Settanta è diventato l'uomo di mezz'età che non può più fingere di cantare da "giovane". «Mi sentirei un pupazzo. Non bisogna sfidare il tempo, ma blandirlo e farselo amico, senza paure, per continuare ad alimentare i sogni degli altri, noi fuochisti sul treno della gente. Chi diventa veterano in questo campo ha due possibilità: o si maschera da divo o cerca di restare vicino a chi lo segue, magari organizzando manifestazioni sensate». Come "O' Scià", la sua tre-giorni di musica a Lampedusa. «Quel giornalista dell'Espresso che denunciò i maltrattamenti ai clandestini, mescolandosi tra loro...Era rimasto in acqua per ore, e mi ha poi raccontato che i suoni delle nostre prove, in lontananza, gli tenevano compagnia. Due giorni prima ero stato in un centro di accoglienza con alcuni parlamentari: c'erano solo undici ospiti, era tutto tirato a lucido. Forse il governo voleva fare bella figura. Se è vero ciò che ha scritto quel reporter, voglio sperare che si sia trattata della perversione individuale di quei custodi che si sentivano ingabbiati anche loro. I centri devono rispettare la dignità umana, ma il problema è un altro: garantire la sopravvivenza di un continente, l'Africa, che va scomparendo». Tutto questo mentre da noi i vip si perdono nella cocaina («Per coglioneria, perché ci sono modi più sani per sballarsi...»), gli studenti che manifestano vengono fermati con durezza dalla polizia («Spero sia un incidente di percorso, non l'avvisaglia di qualcosa già visto»); e i politici temono un cantante che predica in tv. Segno, quest'ultimo, di salute o di malattia della nostra democrazia? «Forse è solo l'ipertrofia del mondo dell'informazione - ipotizza Baglioni. — Da Celentano non c'è stato scandalo. In Italia la stampa è libera, e Santoro era già andato da Fazio. Però Adriano ha un passo irraggiungibile, e con lui condivido la questione della difesa del bello nelle nostre periferie orrende e devastate. Renderle più vivibili garantirebbe più serenità a tutti, giovani e anziani. Anzi, potremmo fare un partito io e lui, ma temo che vorrebbe farne il presidente...». In difesa dell'ambie

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