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di PAOLO CALCAGNO NEGLI anni '50 non era facile entrare in Unione Sovietica: c'era ...

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Dominique Lapierre, il celebre viaggiatore e scrittore francese, autore di molti libri di successo fra cui «La città della gioia», allora era giornalista di Paris Match, aveva soltanto 24 anni e smaniava dalla voglia di compiere imprese considerate proibitive. Era il 1956 e Lapierre, dopo diversi tentativi falliti, ottenne finalmente l'autorizzazione a visitare l'Urss. «Il telegramma con l'ok arrivò in primavera; noi partimmo a luglio: eravamo io, il fotografo Jean-Pierre Pedrazzini, un mio grande amico, mia moglie Aliette e la sua, Annie» ci ha raccontato Dominique Lapierre, ieri a Milano, in occasione della presentazione del suo nuovo libro «C'era una volta l'Urss» (il Saggiatore, 143 pgg. 15 euro), da oggi nelle librerie. «Lasciammo Parigi a bordo della nostra Simca gialla e nera, attraversammo la Germania e la Polonia e arrivammo fino a Mosca. Poi, ci spingemmo in Georgia e sul mar Nero. Fu un viaggio massacrante ma esaltante. Facemmo 13mila chilometri su strade terribili, guadammo torrenti, utilizzammo carburante di trattori e di aerei, perché di pompe di benzine ne trovammo solamente una, a Mosca. Però, che incontro fu il nostro con la magnifica gente russa, straordinaria per simpatia, umanità, la generosità della loro accoglienza». Dominique Lapierre, perché raccontare quel viaggio in Urss oggi, dopo quasi 50 anni? Forse, al suo libro mancava l'uscita in Italia? «Il libro sta uscendo adesso, per la prima volta anche in Francia. Dopo 50 anni di viaggi, ho voluto rendere omaggio al grande fotografo Jean-Pierre Pedrazzini (nel volume ci sono 32 pagine con sue fotografie), mio compagno di lavoro. Noi ritornammo a Parigi nell'ottobre del '56 e subito dopo Pedrazzini ripartì per l'Ungheria dove scattò le immagini dell'invasione sovietica. Purtroppo, il 30 ottobre di quell'anno, fu colpito dal fuoco di un carrarmato russo, rimase gravemente ferito e, il 7 novembre, morì, a Parigi. Inoltre, mi è sembrata un'occasione unica per ricordare un tempo totalmente scomparso. Oltre che a Pedrazzini, ho dedicato questo mio lavoro a Larry Collins, scomparso recentemente, con cui ho scritto vari libri a partire da "Parigi brucia?", e al giornalista russo Slava Petuchov che con sua moglie ci fece da guida in Unione Sovietica». Che ricordo ha dell'Urss di 50 anni fa? Poteste muovervi liberamente? «Quello era il tempo della destalinizzazione portata avanti da Krusciov, ma nonostante ciò scoprimmo che la gente era completamente sottomessa al regime sovietico. La propaganda del regime, dopo la denuncia dei crimini di Stalin, voleva far credere che il popolo russo fosse felice, ma quella gente stupenda era in balia della dittatura del tempo. Ne parlammo a lungo con Slava, gli chiedevo se per loro ci sarebbe mai stato il tempo della libertà e lui mi rispondeva che il dominio dell'Urss sulla sua gente sarebbe durato altri mille anni. E io credevo che avesse ragione. Invece, 20 anni più tardi, incredibilmente, il comunismo cadde: per me, una cosa simile, allora, era impensabile. In seguito, sono ritornato in Russia e ho potuto osservare che tutto è cambiato. Perciò, mi è sembrato che questo fosse il momento adatto per descrivere un periodo di Storia molto interessante come quello del comunismo negli anni '50». Quali sono stati i momenti più significativi di quel suo viaggio? «Lei prima mi ha chiesto se potemmo muoverci in libertà. Ebbene, fummo liberi di parlare con chiunque, nelle fabbriche, nelle case, nei kolchoz, facemmo liberamente campeggio sui monti del Caucaso e Pedrazzini fotografò persino un matrimonio ortodosso, lì dove dominava l'ateismo. E dovunque ricevemmo accoglienze entusiaste. Allora non era ancora il tempo della Tv e quella gente non aveva mai visto dei turisti, dei giornalisti occidentali. Ci festeggiarono continuamente: per loro eravamo dei marziani. Furono tre mesi di vacanze felici e ci furono anche epi

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