Il regista con attori non eccezionali, senza effetti speciali tiene gli spettatori inchiodati alla poltrona
GLI APPASSIONATI del thriller non mancheranno di apprezzare l'ultima creazione del maestro Wes Craven che ha realizzato uno dei migliori film del genere, come non se ne vedevano da anni. Il sessantaquattrenne papà di Freddy Krueger, specialista nel fare tanto con poco, stavolta ha voluto superare se stesso. Non ci sono gli incubi di «Nightmare» ne la maschera satanica di «Scream», niente splatter, niente visi sfregiati, nessun orrore disgustoso. In questo film non c'è nulla di svelato. Tutto corre sul filo di una tensione fluida, è un po' banale, ma si può dire psicologica, tra i due interpreti principali: un uomo e una donna. E la maestria di Craven riempie lo schermo ed è sufficiente a tenere tutti con il fiato sospeso, anche con due interpreti niente più che onesti. Ma tanto basta. Non ci sono effetti speciali, pochi spari, appena un paio di morti e solo una grande esplosione. In un'ora e mezza di film americano non è poco. Craven sembra abbia voluto fare un omaggio al cinema di Alfred Hitchcock riempiendo lo schermo con il mestiere, i movimenti della macchina da presa e la fantasia, suggerendo, senza far vedere. E allora i protagonisti di questo piccolo grande film, che si svolge tutto in ambienti chiusi, prima di tutto il corridoio di un aereo, si muovono in un universo elettrico, fatto di telefoni, di luci, di porte che si aprono e si chiudono e di persone che si rincorrono in un gioco di morte. Il regista di Cleveland mette subito le cose in chiaro: i cattivi sono cattivi e i buoni buoni: nessuno cambia ruolo, non ci sono enigmi da sciogliere: la tensione non riguarda il prima, ma solo il presente, non ci sono fatti tenuti nascosti allo spettatore che a metà strada vengono tirati fuori dal cappello come un prestigiatore fa con il coniglio. C'è il gioco del gatto con il topo che, a un certo punto, si rovescia. Craven tiene tutti in pugno, spettatori compresi, crea un labirinto di angosce e di paure e le risolve in una scarica fisica, lo scontro finale tra il cattivo, Cillian Murphy, che impersona un terrorista veloce e spietato, e la buona, la un po' inespressiva Rachel McAdams, nei panni di una mite ma efficiente direttrice di albergo che alla fine troverà la forza, anzi la ferocia, per essere all'altezza del suo avversario. Resta un dubbio: ma se la bella protagonista, ingannata, provocata, minacciata teneva in serbo tanta grinta e tanta energia fisica da potersi opporre al suo aguzzino, perché non le ha sfoderate immediatamente? La risposta è semplice: altrimenti il film finiva subito.