Pezzali, nostalgia dell'Uomo Ragno
Il cantante che aveva deciso di riporli con amore nel libro dei ricordi, come un'istantanea di gioventù lunga dieci anni oggi è pronto a rispolverarli, complice una lunga tourneè che debutterà domani dal Mazda Palace di Torino e che visiterà alcuni palazzetti della penisola italiana. Tra l'altro sull'onda del grandissimo successo di «Tutto Max», la prima raccolta completa di tutti i successi di Pezzali e degli 883, l'artista pubblica, in edizione limitata un nuovo singolo, «Me la caverò» che anticipa anche un dvd contenente 34 video che uscirà il prossimo 25 novembre. Abbiamo incontrato il più amato cronista della gioventù durante le prove del concerto (domani il via del tour a Torino, il 2 novembre al Palalottomatica di Roma) dove abbiamo gustato della sua musica la proverbiale leggerezza, il gusto dell'orecchiabilità, del ritornello vincente. «In realtà - spiega Max - è un anno e mezzo che siamo in giro e abbiamo lavorato molto per migliorarlo. La scenografia è ispirata alle copertine degli otto dischi che ho pubblicato. Durante l'esibizione si accende quella relativa al brano. Il palco invece è su più livelli dove verranno dislocati i sette ragazzi della band con due coristi polistrumentisti». Gran sorriso, un po' di adrenalina, cappellino e tenuta da giovane, Max Pezzali ripercorrerà con una forte connotazione antologica la sua carriera partendo proprio dal singolo «Sei un mito». Che ricordo ha degli esordi? «Confusi, bellissimi, ancora pieni di stupore e di incredulità. Sai, arrivare da Pavia, che in fondo è rimasta una cittadina a economia agricola, uscire dal microcosmo degli amici, quelli del bar Dante, i compagni del liceo scientifico mai abbandonati, e trovarsi scaraventati in una realtà che parla diverso, usando termini come marketing, target, look, promotion, è stato uno shock, pur se piacevole...». Lei ha spiccato il volo dopo aver conosciuto il talent scout Claudio Cecchetto... «Con lui non è andata male. Ma anche dopo il successo di "Hanno ucciso l'uomo ragno" la nostra vita non è cambiata. E sono tornato a guidare l'ambulanza. A quei tempi ero un obiettore di coscienza assegnato a un servizio civile. Solo dopo che hanno cominciato a riconoscermi per strada mi hanno fatto smettere». In che senso? «Nel senso letterale della parola. Un giorno ero andato a prelevare un uomo che aveva dei problemi di cuore e doveva essere ricoverato. Era in un paese vicino a Pavia e, quando scendo per prendere la barella, tutti quei curiosi che in casi come questi affollano la strada per vedere cosa è successo mi fermano, vogliono l'autografo. Mi faccio largo a fatica e porto a termine la missione. Ma immediatamente chiedo di essere esonerato. Continuando avrei provocato solo danni». Le sue canzoni sono inni collettivi. Perché? «Credo di aver tenuto uno stile mio particolare costruendo melodie lineari e semplici. Ieri raccontavo del gruppo. Oggi racconto di me e di come sto vivendo i miei anni. Scrivo canzoni pop con l'occhio disincantato di chi si è reso conto che il mondo non è esattamente quello che ci hanno raccontato».