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Pellico a 5 stelle, lo Spielberg diventa albergo

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Poi il «Gazzettino di Rovigo», a giugno, aveva rovistato un po' nelle memorie locali (Fratta Polesine da tre anni invita senza successo il sindaco di Brno al «banchetto carbonaro»), tornando sui luoghi del sacrificio eroico della città dove di trova la fortezza divenuta celebre durante l'impero austro-ungarico per aver tenuto a carcere duro (pagato anche con la vita) molti nostri patrioti tra cui Silvio Pellico, l'autore del celebre «Le mie prigioni». Lì vi hanno soggiornato per lunghi mesi del 1821 i carbonari e lì vi trovarono sepoltura anche molti di loro. Lì è passata tanta parte della nostra storia risorgimentale da far si che nel 1925 si arrivasse ad un accordo tra lo stato cecoslovacco e la Società Dante Alighieri per l'apertura di un Museo dedicato alla memoria dei nostri patrioti. Lo schema di convenzione venne poi ripreso nel 1931, considerando italiano l'intero corpus dei documenti relativi ai prigionieri politici con l'impegno di conservarli senza mai esportarli. Incaricata a gestire, conservare e disporre della raccolta del museo fu chiamata nuovamente la «Dante Alighieri», che con una nuova convenzione firmata nel 1932 con il Ministero degli Esteri, ne divenne anche proprietaria. Così sono andate le cose almeno fino a quando il Comune di Brno, come tante altre amministrazioni di questo mondo, avendo esaurito i fondi per sostenere il mantenimento del leggendario complesso, e nonostante gli incassi dei biglietti d'ingresso e lo stanziamento governativo di più di un milione di euro annuali, ha deciso di ristrutturare le antiche prigioni fino a trasformarle in comode, calde e lussuose stanze di albergo. In fondo che male c'è? Perché ci scandalizziamo così tanto? Non abbiamo noi ceduto chiese, conventi, ville romane, affreschi, statue, ninnoli ed anticaglie a tanti privati trasformando molti dei beni dello Stato in studi, uffici, ristoranti e non ultimo, anche degli alberghi? Non abbiamo creato la Patrimonio SPA per demolire il più ricco dei «giacimenti culturali» (passi l'orribile definizione anni '80) della terra? Non siamo noi che abbiamo coniato il verbo «cartolarizzare» per vendere gli immobili di proprietà demaniale, ossia di tutti noi? In tempi di vacche magre ogni mossa è lecita pur di far quadrare il bilancio e non c'è spazio per i sentimentalismi. Guai e poi guai se a questi si aggiungesse ogni tanto anche un pizzico di amor proprio! Lo sapevate che in argentina esiste una comunidad di nome Silvio Pellico? Non mi risulta che vi siano altre città del mondo dedicate a scrittori italiani. Non c'è da nessuna parte un paese che si chiami, che so?, Dante, Manzoni, Pasolini o Boccaccio. Il nome Pellico non fu assegnato d'autorità, ma venne scelto dai nostri immigrati giunti in quelle terre lontane dal Piemonte. Fu come decidere di portare con sé una parte della propria identità culturale, di italianità, insomma un ricordo di quella patria tanto amata quanto ingrata che li aveva lasciati «orfani» per il mondo in cerca di una migliore fortuna. Silvio Pellico da Saluzzo, classe 1789, carbonaro, cristiano, «profeta della nuova Europa», autore di tragedie, tra cui «Francesca da Rimini» tradotta da lord Byron, di saggi e soprattutto del più celebre e famoso «Le mie prigioni». Il libro impose la questione nazionale italiana all'attenzione dell'Europa e infiammò la fantasia di migliaia di lettori, per le asprezze dei carcerieri austriaci, per le violente pagine sull'amputazione della gamba del suo compagno di cella Piero Maroncelli. Il Museo dello Spielberg molto probabilmente chiuderà e al suo posto sorgerà, nonostante le proteste, un confortevole albergo. Propongo però che in ogni stanza venga messa almeno una copia del volume che Aldo A. Mola, storico risorgimentale e biogra

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