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Cultura non vuole dire sprechi

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Berlusconi s'è limitato a fotografare, in modo neutro ma sgradevole per chi si riconosca nella foto, una realtà quale essa è. Del resto, il presidente del Consiglio è una voce, fra le tante, d'una denunzia che riguarda non soltanto la Scala, anche se sovr'a tutti la Scala, ma non pochi tra i teatri lirici italiani. Vale a dire un sistema burocratico e pseudo-artistico che ha assunto nel corso dei lustri, dei decennî, proporzioni abnormi e indecorose. Che oggi fa quasi somigliare taluni dei patrî «templi» dell'ugola meno a moderni ed agili opificî musicali che a superministeri dell'assistenzialismo: per certo, colpa degli stessi uomini politici che per basse finalità elettoralistiche, per ragioni d'avido clientelismo e di smaccato nepotismo, a tacer d'altro, hanno favorito, se non promosso, l'indigesto inzeppamento dei nostri malavventurati teatri con legioni di gente superflua, non professionale, nemica al tipo ed alla qualità del lavoro invano esatto. Da parte loro, i sindacati dello spettacolo e del mondo musicale hanno dettato legge - la loro legge - che aveva per obiettivo la difesa ad oltranza del posto di lavoro a prescindere dalle ragioni superiori dell'arte. Sotto l'usbergo del «tutti-abbiamo-famiglia» (cosí espressivo e sacro per ogni dove dello Stivale) hanno favoriti il deperimento e, in taluni casi, il disfacimento della funzionalità e della produzione artistica. I sindacati sono stati, ad esempio, i fulgidi protagonisti del recente defenestramento di Riccardo Muti dalla Scala di Milano: un dànno irreparabile alla cultura italiana, salutato da una stolta fucilería di "evviva!" "evviva!". I teatri lirici europei producono ben piú dei nostri, con maestranze e dipendenti di numero inferiore al nostro: è un dato incontestabile. Noi facciamo provvedimenti per cui i ballerini dovrebbero continuare a ballare centenarî: ovviamente sulle 45 primavere sarebbe bene che cessassero, su consiglio di madre natura e per decenza estetica: se smettono però continuano ad esser pagati. Per fare che cosa? A raccontarle all'estero non ci credono. O ci credono quanti sanno di che pasta è da sempre impastata l'Italia. Combattiamo i tagli alla cultura. Ma auspichiamo i tagli agl'intollerabili privilegî, ai dilaganti parassitismi ed ai rovinosi sprechi che lordano l'immagine - e non solo l'immagine - della cultura e dell'arte italiane. E. Cav.

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