di PAOLO LUIGI RODARI SI È PARLATO sovente, in questi giorni di lavori del Sinodo dell'Eucaristia, degli ...
Non si può, infatti, tematizzare l'Eucaristia come la fonte principale della vita e della missione della Chiesa e poi avere degli edifici di culto che non aiutano la comprensione di questa verità. Ne parliamo con monsignor Mauro Piacenza, vescovo a capo delle pontificie Commissioni per i beni culturali della Chiesa e dell'archeologia sacra. Monsignor Piacenza, sempre più spesso vengono costruite chiese in cui, entrando, ci si sente quasi persi, quasi incapaci di trovare la direzione verso Cristo. Cosa ne pensa? «Rispondo citando Eugenio Ionesco. In un'intervista da lui rilasciata nel 1975, afferma: "La Chiesa non vuole perdere la sua clientela, anzi vuol guadagnarne di nuova. Ciò produce una specie di "mondanizzazione" davvero deplorevole - e subito aggiunge - ho sentito un parroco dire, in chiesa: "Rallegriamoci, stringiamoci la mano... Gesù vi augura cordialmente una bella giornata, il buon giorno!". E ancora: "Presto allestiremo un bar per la comunione del pane e del vino, offriremo tramezzini e spumante...". Ionesco conclude: "Non c'è rimasto nulla, nulla di stabile. Tutto è in movimento. Invece di questo noi abbiamo bisogno, di una roccia salda". Ho citato questa frase del grande drammaturgo francese, per dire che se, anche nella Chiesa, viene meno il discernimento costruito sulla fede ecclesiale, tutte le azioni, comprese quelle liturgiche, finiscono, di volta in volta, per assorbire una mentalità profana». Come deve essere costruito il luogo di culto perché esso sia segno di Cristo e non dispersione? «Gli spazi, le forme, le prospettive, gli arredi, tutto deve essere in grado d'esprimere il senso teologico-sacrale, della casa dell'assemblea del popolo di Dio. Se il luogo di culto, insomma, è segno di Cristo, allora lo si deve distinguere bene nella sua specificità di luogo cattolico». Ci spieghi meglio. «L'edificio adibito al culto deve esprimere tutta la sacralità della celebrazione eucaristica, la realtà della presenza del corpo, sangue, anima e divinità di Gesù Cristo; in tutto, quindi e in maniera inequivocabile deve richiamare la sacralità di tale azione e presenza, perciò, in nessun modo, può rispondere a criteri volti unicamente alla ricezione dei partecipanti. Inoltre, il luogo di culto deve garantire la distinzione tra i fedeli e il sacerdote». È importante anche la posizione degli "oggetti liturgici" nella Chiesa? «Certamente. Il tabernacolo, ad esempio, deve trovarsi in posizione d'onore, ben visibile, e nello steso tempo riparato. Non è infatti accettabile che Gesù, presente in modo reale e sacramentale sotto le sacre specie, debba essere "faticosamente ricercato" da quanti si recano in Chiesa proprio per adorare il Santissimo Sacramento. Deve essere la fede a suscitare idee e soluzioni. Ad esempio, dal punto di vista architettonico, creare linee prospettiche e/o fasci di luce che, a modo di cammini preferenziali, convergono verso il tabernacolo. Infatti, come ricorda il Concilio Vaticano II, "nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo". Questo si deve vedere, deve essere tradotto praticamente». Come deve essere fatto lo spazio dedicato al tabernacolo? «Bisogna evitare di costringere l'Eucaristia all'interno di una logica "cosificante", come se si trattasse di un "oggetto" che si frappone tra i fedeli e Gesù e non dello stesso Cristo vivo e vero, realmente presente sotto le apparenze del pane e del vino. A tale proposito è utile promuovere attraverso dipinti, mosaici, vetrate - là dove è collocato il tabernacolo - un'adeguata catechesi eucaristica che sottolinei l'umanità di Cristo, i misteri della sua vita (infanzia, vita pubblica, passione) per giungere al grande mistero pasquale, soffermandosi, particolarmente, sul grande mistero dell'Eucaristia, sottolineando la n