di DIEGO GABUTTI GLI ATEI, fin dai tempi più antichi, non hanno mai avuto buona stampa.
Ateo, spiega Onfray, è un termine che è rimasto a lungo nel vago e che soltanto di recente, nel Settecento e nell'Ottocento, ha acquistato il suo attuale significato. Prima di passare a indicare, come oggi, chi nega Dio o gli dèi, ha indicato chi segue un altro Dio e altri dèi, o anche soltanto chi ha un'idea eterodossa, eretica e dissidente, del Dio e degli dèi dominanti. Furono alcuni filosofi illuministi, prima della rivoluzione francese, a trasformare quello che all'origine non era che un'ingiuria teologica, un po' come dare del ladro all'avversario politico, in una precisa rivendicazione filosofica. Cominciò Jean Meslier, un prete miscredente, che nel 1729 scrisse e pubblicò un libro intitolato Mémoire de pensées et sentiments de Jean Meslier ou démonstrations claires et évidentes de la Vanité e de la Fausseté de toutes les Divinités et de toutes les Religions du Monde. Seguirono, negli anni successivi, le opere del barone Paul Heinrich Dietrich d'Holbach, autore del Sistema della natura, un materialista radicale che del moderno ateismo fu, nel Settecento, il principale portabandiera: «La natura, voi dite, è del tutto inesplicabile senza un Dio. In altri termini, per spiegare ciò che capite ben poco, avete bisogno di una causa che non capite affatto». Nell'Ottocento furono gli hegeliani di sinistra, da Ludwig Feuerbach a Karl Marx, a raccogliere dai materialisti francesi la bandiera dell'ateismo, che poi tramandarono a Nietzche, il cui nichilismo era una forma d'ateismo estremo. Lettore attento di Dostoevskij, come attestano i suoi taccuini di lavoro, Nietzsche era affascinato dall'ateismo dei personaggi di Dostoevskij (mentre Dostoevskij, che li aveva messi al mondo, ne era invece filosoficamente disgustato). Fu uno strano caso di contaminazione culturale. Come se al cinema, guardando Guerre stellari, uno spettatore tifasse per Darth Veder contro Luke Skywalker e la Principessa Leila. Michel Onfray, ex insegnante di liceo, «ha fondato nel 2002 l'Università popolare di Caen, che dispensa corsi di filosofia a centinaia di persone d'ogni età e ceto sociale», recita la terza di copertina del Trattato di ateologia. Ateo fondamentalista, impegnatissimo a sinistra, Onfray è l'ultimo degl'illuministi militanti e il suo libro, più che un trattato d'ateologia, come afferma il titolo, è una chiamata alle armi, e quasi un catechismo. Onfray, come i preti di cui denuncia il dogmatismo e le chimere, cerca discepoli. Mentre setaccia la storia della filosofia, cercando per l'ateismo degli antenati nobili, finisce per scrivere un libro che somiglia, nella sua lingua invecchiata da pamphlet e nei suoi furori un po' astratti da filosofo neolibertino, ai libelli settecenteschi che mette in catalogo, ma solo come la caricatura, o una fotografia ingiallita, somiglia al suo modello. Non racconta la storia dell'ateismo nè la grandezza dei suoi propositi. Non ne sposa, in realtà, neppure la causa. Indossa una parrucca incipriata da filosofo illuminista, affonda il naso nella tabacchiera e gli fa il verso. Elenca minuziosamente, con voce ispirata, le contraddizioni e le aporie del pensiero religioso e poi le smonta punto per punto, come un hegeliano di sinistra nel 1848. Onfray identifica l'ateismo con la ragione, com'è giusto, ma la sua è la Ragione maiuscola e stereotipata di chi s'ispira a qualche vecchio libro e cerca d'imitarne lo stile, come se la ragione conoscesse una sola lingua: il gergo elegante ma ormai polveroso del libello settecentesco. Oggi la ragione non ha più bisogno di maiuscole: la sua autorità, per quanto contestata dai demagoghi, si fonda su duecento anni di scoperte scientifiche, cioè sul divenire stesso del mondo. Ridurla, come fa Onfray, all'esatto contrario del messaggio religioso, negandole così ogni altro scopo, signifi