di EUGENIO ZACCHI MICHAEL Cunningham torna in Italia con «Giorni memorabili» (Bompiani, 410 pagine, ...
La storia dei tre protagonisti, Simon, Catherine e Lucas offre al lettore una serie di interrogativi che nessuno di noi può ormai eludere. Cunningham, ha paura della nuova tecnologia? «Sono affascinato dalle macchine e forse provo nei loro confronti un insieme di emozioni e paura simili a quelle provate dai primi esploratori che si sono trovati per la prima volta di fronte al Nord America. Credo che ci troviamo sull'orlo di una nuova era che finirà per portarci all'interrogativo fondamentale: cosa si intende per umano? Io non posso immaginare che non siano arrivati alla clonazione umana, ora o ben presto sarà già possibile, durante la gravidanza, decidere come sarà il proprio figlio, migliorarne la bellezza, l'intelligenza, la capacità sportiva. In un futuro non troppo remoto ci saranno dei computer in grado di pensare e di creare. Ma una macchina che crea, ha un'anima? Difficile rispondere». Nel suo romanzo, come del resto in quelli precedenti, si percepisce una sorta di ossessione del tempo. «Verissimo. Il tempo legato all'età, alla morte, ma questa non mi fa particolarmente paura, ma per quanto ne sappiamo, siamo gli unici esseri viventi che hanno consapevolezza di non poter vivere all'infinito. Tutti abbiamo un rapporto intimo con il tempo, è il nostro amico, nemico e partner in questo ballo che ci accompagna per tutta la vita. Il tempo è un argomento molto complicato. I fisici hanno cominciato a comprendere la possibilità di allungarlo. Viene scandito a un ritmo diverso secondo la velocità con cui ci muoviamo». La scienza infatti si è sempre dedicata ad allungare la vita degli esseri umani. È recente la notizia secondo cui le donne potranno raggiungere i novant'anni. «Io voglio rimanere per il tempo che mi è concesso. Sono stati isolati i due geni nell'uomo responsabili dell'invecchiamento: questo fa capire che siamo preprogrammati sia per la vecchiaia sia per la morte e si suppone con un certo margine di sicurezza che si possa in futuro arrivare anche ai duecento anni!». Un'opinione sul rapporto tra la scienza e la religione? «Io non sono particolarmente religioso, però credo che esista un sistema, magari alla guida non c'è un vecchio con la barba, ma credo in una vita dopo la morte anche se è impossibile immaginarla. Le macchine rappresentano sicuramente la forte spiritualità dell'uomo. È difficile per chiunque di noi immaginarci l'esistenza di uno spirito senza personalità e quello che più si avvicina alle mie posizioni è una cosa che dice Luke alla fine. Noi abbandoniamo la coscienza come se ci svegliassimo da un brutto sogno. La gettiamo via come un vestito che non ci sta più bene. È un abbandono estatico che siamo fisicamente incapaci di concepire mentre siamo nei nostri corpi». Crede che oggi sia aumentato il senso della paura e del pericolo dopo i tragici eventi naturali e politici che hanno colpito gli Usa, a cominciare dall'11 settembre? «Non c'è dubbio. Forse ad avere più paura sono gli anziani. Gli americani hanno sempre pensato di essere al sicuro, e non ci sono parole per esprimere il dispiacere circa il fatto che l'America ha reagito con aggressività. Invece di cogliere questa occasione per dimostrare la propria empatia nei confronti del resto del mondo, ha deciso di bombardare all'infinito un paese che non rappresentava alcuna minaccia». L'altro grande protagonista di «Giorni memorabili» è Walt Whitman. L'ha inserito perché rappresentava il sogno americano? «Scriveva di un'America che stava appena nascendo ed era possibile all'epoca immaginare che sarebbe diventato un paese grande e umano, in grado di offrire a tutti una vita migliore». È stata un'illusione? «Sicuramente Whitman si è illuso ma l'America che lui amava non è quella di oggi». È il suo poeta prediletto? «Il mio poeta americano preferito. In "Foglie d'erba" è stato lo scrittore che ha prodotto un libro di così ampio respiro, tratta di tutto. È arrivato a una dim