Il processo che Stalin non voleva
Sessant'anni fa a Norimberga alla sbarra gerarchi nazisti e delfini di Hitler
Il Tribunale che dovrà giudicare i criminali di guerra nazisti si riunisce per la prima volta. Il processo, tuttavia, sarà celebrato, dal 20 novembre 1945 al 1 ottobre 1946, a Norimberga, città-simbolo: vi si teneva il congresso del partito nazionalsocialista e vi furono promulgate le leggi contro gli ebrei. L'atto di accusa è «contro Herman Goering e altri»: non si può fare a meno di notare che nel 1919, quando si volevano giudicare ottocento criminali di guerra tedeschi della prima guerra mondiale, alla lettera «G» figurava già l'aviatore Hermann Goering. Quattro i capi di accusa di cui devono rispondere il corpulento ex Maresciallo del Reich e altri ventuno gerarchi e alti ufficiali: complotto e cospirazione; delitti contro la pace; crimini di guerra; crimini contro l'umanità. Hitler, Goebbels, Himmler, si sono suicidati: in carcere, si è impiccato Robert Ley, capo del «Fronte del Lavoro»: ma nutrita è la pattuglia dell'alta dirigenza del Terzo Reich che deve rispondere dello sterminio di sei milioni di ebrei e di quanti altri infelici? Un calcolo molto cauto fa salire il numero delle vittime a dieci milioni, una cifra spaventosa. Le prove raccolte occuperanno decine di volumi, gli atti del processo del secolo. Fosse dipeso dai sovietici, questa "formalità" era perfino superflua, perché bisognava passare subito per le armi i responsabili di genocidio. La cosa aveva causato un serio incidente tra Winston Churchill e Stalin, alla Conferenza di Teheran (28 novembre-1 dicembre 1943). Stalin aveva proposto di fucilare cinquantamila ufficiali tedeschi e Elliot Roosevelt, figlio del presidente americano, presente alla riunione, si era detto entusiasta dei propositi del dittatore georgiano: ridacchiava, divertito, anche Franklin Delano. Churchill, si era alzato di scatto, spingendo con rumore la poltrona sulla quale era seduto, e aveva esclamato: «Preferisco che mi uccidano, piuttosto che lasciare insozzare il mio onore e quello del mio Paese con un simile abominio»: quindi era uscito dalla sala. Stalin scherzava? Nelle sue memorie sul secondo conflitto mondiale Churchill scrive: «Sebbene non fossi allora, come non sono oggi, del tutto convinto che si trattasse di uno scherzo e che non ci fosse nelle loro menti qualche intenzione seria, acconsentii a far ritorno nella sala». Ci volle del bello e del buono per convincere i sovietici a far celebrare un processo pubblico internazionale, con un esercito di giornalisti, fotografi e operatori cinematografici presenti ai lavori. Il timore (fondato) era che saltassero fuori gli scheletri nell'armadio, come il Patto di non aggressione nazi-sovietico del 23 agosto 1939, la spartizione della Polonia e la compromissione politica, militare, economica, perfino ideologica di Stalin con Hitler e la sua gente. In effetti, gli scheletri vennero fuori sul serio, non soltanto in senso metaforico: quelli degli ufficiali polacchi abbattuti con un colpo alla nuca dalla Nkvd, progenitrice del Kgb. A Norimberga, i sovietici, indignati, rifiutarono perfino di parlare dell'eccidio di Katyn, rigettando sui tedeschi la colpa di quella ennesima mostruosità. Soltanto nel 1990, Gorbaciov, ricevendo il generale Jaruselzki, gli consegnò la lista di 15.131 ufficiali polacchi presi prigionieri dall'Armata Rossa nel 1939 ed eliminati fra l'aprile e il maggio 1940. Gorbaciov chiese scusa, e la cosa finì lì: nessun responsabile, per quanto avanti negli anni, venne ricercato e condannato. Il "padre del Processo di Norimberga" fu il pubblico ministero americano Roberto H. Jackson, che affiancò gli altri giudici inglesi, russi e francesi (gli americani, peraltro, istruirono in seguito anche il processo contro i criminali di guerra giapponesi, con relative pene capitali inflitte a politici e militari). Allora e in seguito, il processo fu oggetto di molte dispute e contestazioni dottrinali e di principio. C'era chi sosteneva che il tribunale, benché senza precedenti, era in sintonia con il diritto internazionale e chi pensava che