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LA TESI NEL NUOVO LIBRO DI RUGGERO MARINO

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Buona parte dei fondi per finanziare il navigatore proveniva dai parenti del Pontefice, che perseguiva un progetto universale, economico e spirituale. Colombo toccò un qualche punto della costa americana, prima del 12 ottobre 1492; non era, infine, uno sprovveduto, ma apparteneva a un qualche Ordine, forse di Rodi o del Santo Sepolcro, con eredità chiaramente Templare. Bastano questi punti, sui quali si incardina il libro di Ruggero Marino — per molti anni inviato speciale de «Il Tempo» — per stimolare il lettore («Cristoforo Colombo - L'ultimo dei Templari», Sperling Kupfer Editori Rai-Eri, 343 pagine, 18 euro). A parere dell'autore, gli scritti colombiani hanno consacrato un falso, «uno scadente romanzo d'avventure», «un fumetto da antiquariato». La storia va completamente ribaltata, rovesciata come una clessidra. Se il braccio politico della impresa fu spagnolo, quello ideologico-religioso nacque a Roma. Un figlio di Innocenzo VIII (cosa non infrequente a quell'epoca) aveva impalmato la figlia di Lorenzo il Magnifico e anche i Medici dovettero allentare i cordoni della borsa, secondo i desiderata del Papa. Un pontefice, dunque, «deus ex machina», manovratore occulto, anche se il personaggio è vilipeso, più che studiato, dalla storiografia. È dunque un falso che i soldi provenissero dagli «sbandierati gioielli della regina Isabella, che si sarebbe offerta di sacrificarli per far salpare Colombo». I preziosi della regina erano serviti per la guerra contro i Mori, il cui ultimo baluardo in Spagna stava per crollare. D'altro canto, se perfino su un poster, in Vaticano, si legge che Innocenzo VIII «aiutò Cristoforo Colombo nella sua impresa alla scoperta dell'America», un motivo deve pur esserci. Siamo, come si vede, in presenza di una vera e propria sciarada o, se più piace, di una scatola cinese, al centro della quale sta un Cristoforo Colombo molto diverso da quello consacrato dalla oleografia convenzionale. Sorprese non di poco conto anche se si considera, prima ancora che lo scopritore, il navigatore, l'esperto di rotte, lo studioso attento di mappe e carte geografiche. Ruggero Marino — le cui ricerche vanno avanti da oltre quindici anni — scrive che la gioventù di Colombo, la sua formazione, la sua maturazione, sono un buco nero. Premesso che l'esistenza di nuove terre a Occidente era un fatto assodato, sul finire del XV secolo (non si trattava necessariamente della Cina di Marco Polo, meno che mai del Giappone), dove navigò, quali terre toccò Cristoforo Colombo, prima di partire da Palos, il 3 agosto 1492? Senza nemmeno scomodare il turco Pini Reis e la sua incredibile carta (l'estensione delle terre sudamericane è di molto superiore a quelle sino ad allora scoperte, mentre su altre mappe il continente antartico appare colorato di verde, dunque prima della glaciazione), è certo che Colombo navigò a 360°. Le conoscenze geografiche erano più vaste e approfondite di quanto non si creda. A Nord, il genovese si spinse fino all'Irlanda, all'Islanda, forse alla Groenlandia; a Sud, andò oltre le Azzorre, fino alla Guinea. Spaziò, a Occidente, fino a nuove terre? Possibile, perfino probabile, un "predescubrimiento", nel 1485 o prima ancora. Quando salpò da Palos, si mosse con la sicurezza di un sonnambulo: imboccò la rotta giusta e giunse a destinazione.

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