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Nell'ultimo libro di Benedetta Craveri storie e intrighi delle donne alla corte di Francia

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Quando il potere nasce in camera da letto

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Meglio sarebbe dire dietro le cortine di talami, stanze private e sottoscala delle regge e dimore nobiliari d'Oltralpe. La storia nel suo comporsi di tante storie, private, erotiche, sentimentali, cronaca rosa e nera, ambizioni, intrighi e veleni. Un racconto che non sacrifica l'esattezza storica al piacere di una narrazione di alto livello ed estrema godibilità. Questo è l'ultimo libro di Benedetta Craveri, «Amanti e regine, il potere delle donne», da poco edito nella Collana dei Casi adelphiana, 432 pagine per 25 euro. La scena si apre con l'arrivo in Francia, nel 1533, di Caterina de' Medici, quattordicenne sposa del figlio di Francesco I, futuro Enrico II, e si conclude con Maria Antonietta e la fine dell'Ancien Régime. Protagoniste le donne, artefici e vittime, talvolta inconsapevoli, di quella storia che dispiega i suoi attori come ingranaggi sempre in bilico tra il tiranneggiare e l'essere tiranneggiati, tra ragioni di stato, brama di potere e pulsioni dell'anima e dei sensi. Ecco dunque una galleria di regine, concubine, vedove, abili intrallazzatrici e ingenue vittime sacrificali degne dell'invenzione letteraria di Dumas. Il continuo, impietoso intrecciarsi di Storia e storie è ben oggettivato dal racconto della prima notte di Enrico e Caterina, spiati nei «loro amplessi, attraverso le tende socchiuse del talamo» da Francesco I che poté constatare come gli sposi «si erano dimostrati gagliardi» e visitati al mattino dallo zio della sposa, papa Clemente VII, che si premurò di «ispezionare il letto». Figura storica controversa e complessa, Caterina dovette subito fare i conti con l'eterno rovello delle spose regali legittime, le amanti ufficiali e la loro influenza esercitata sui sovrani. Prima fra tutte Diane di Poitier, che Ronsard paragonò alla «luna che riflette e riverbera la luce del sole assente» indicando chiaramente l'importante funzione di mediazione e intercessione assunta dal ruolo di amante reale. Quei decenni di guerre religiose culminate nella sanguinosa Notte di San Bartolomeo, videro Caterina destreggiarsi tra abilità politica e spregiudicatezza personale, non esitando a servirsi della propria figlia, Margherita di Valois, quale strumento tra le due fazioni in lotta, cattolici e ugonotti. Si era aperta l'epoca delle grandi reggenti, dopo di lei un'altra Medici - Maria - e Anna d'Austria, cui la Legge salica impediva di ascendere al trono ma la cui abilità salvò il regno. Le concubine compongono invece una galleria ancor più romanzesca che alterna le tinte della più fosca drammaticità a quelle leggere della «strategia del piacere». Da Gabrielle d'Estrées, la cui madre aveva fatto forgiare per sé e le sue sorelle l'appellativo di «Sette peccati capitali», all'italiana Maria Mancini. Nessuna come Gabrielle, amante di Enrico IV, fu così vicina a compiere il gesto sacrilego di sedere sul trono, ma il suo sogno si infranse nel più atroce dei modi, morendo a soli 27 anni tra atroci sofferenze e in completa solitudine. Maria Mancini, nipote del cardinale Mazzarino e «amor cortese» di Luigi XIV, scontò invece il pragmatico cinismo del re con un finale da romanzo d'appendice. Il suo addio all'amante venne riecheggiato nientemeno che da Racine in quello tra Tito e Berenice e lei vagò per le riviere del Mediterraneo portando sempre con sé la collana di perle che Luigi le aveva regalato. Entrambi morirono lo stesso anno, il 1715. Ammantata di romanticismo da feuilleton fu anche la sorte di Louise de La Vallière, che a detta di Cocteau è stata «una povera vittima, intrappolata nei ricatti, nei giochi prospettici, nei teatri di verzura e nelle altre atroci crudeltà della Versailles di Luigi XIV… ella fa pensare ad un fagiano che zoppica o che perde sangue da un'ala in mezzo al gioioso frastuono di una caccia reale». Quando, come sempre, la politica fece valere le sue ragioni, il suo fascino scomparve dietro i muri della clausura, dove trascorse i restanti 36 a

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