INTERVISTA CON ALLAN FOLSOM
50euro). Un'altra storia avvincente - dopo «Il giorno dopo domani» e «Giorno di confessione» - che vede protagonista una misteriosa personalità a capo di una congiura internazionale e un giovane agente di una squadra speciale di Los Angeles alle prese con caratteri e situazioni che ne modificheranno l'esistenza e le opinioni. Folsom, sembra che il thriller sia un genere di successo più negli USA che in Europa «Il thriller è diventato ormai un bene di consumo. È mercificato. Negli Stati Uniti la gente vuole cose facili, pratiche e veloci da leggere, vuole cose da consumare in fretta. I miei romanzi sono invece considerati letterari. Quando sono stato a pranzo con alcuni librai, ho chiesto loro cosa significasse romanzo letterario: un libro scritto bene, ma purtroppo quelli che si vendono maggiormente sono quelli scritti con i piedi. Un prodotto di qualità negli Usa non ha successo». Dove hanno avuto più successo i suoi romanzi? «In Germania, nei Paesi Bassi, in Corea e Giappone. Non ho ancora dati certi per quanto riguarda Italia e Spagna». È più divertente scrivere un thriller o realizzarlo per il cinema? «Io scrivo un thriller come se fosse un film e mi diverto perché lavoro in perfetta autonomia. Per un film devi fare i conti con gli Studios e i produttori. Nel cinema poi succede che tu scrivi una traccia, ti dicono grazie mille, danno il lavoro a un' altro e il frutto della tua fatica è perduto completamente». Chi è il lettore medio americano? «Ci sono molti lettori occasionali e quelli che leggono esclusivamente best-seller, anche due o tre a settimana, poiché sono libri che si leggono in gran fretta e ai librai questo genere di lettore piace molto! Anche da me il pubblico si aspetta più libri, almeno uno all'anno. Ma per me è impossibile, non mi sento un produttore. Devo quindi cercare un compromesso tra quelle che sono le esigenze dell'editore e il mio modo di essere e lavorare. Gli editori europei sono molto più pazienti e tolleranti di quelli statunitensi». La situazione editoriale negli Usa? «L'editoria è un business. Le grandi Case editrici hanno assorbito quelle piccole. Sono ormai imprese all'interno delle quali, chi prende decisioni non è un creativo ma un esperto di finanza, attento solo al marketing. È come se invece di fornire romanzi, fornissi saponette. Interessa quanto un libro costa e rende. Se rende, il successivo deve essere un altro esemplare identico. Anche io in un certo qual modo mi devo adattare a questa situazione perché altrimenti mi ritroverei a vendere scarpe». Quanto c'è di autobiografico e di vero ne «L'esule» «È inevitabile che alcune esperienze di vita dello scrittore finiscano nei personaggi. Uno degli episodi chiave del romanzo, un omicidio, è nato dal racconto di una persona secondo cui tutte le forze di polizia del mondo hanno nel loro interno un'unità speciale predisposta ad eliminare tutti quei criminali che i tribunali non riescono a tenere in prigione e sono dei pericoli pubblici messi in libertà. Le forze di polizia non lo ammetteranno mai, ma la realtà è così».