L'odissea di Margarete Buber-Neumann prigioniera prima nei gulag e poi nei lager nazisti
Mentre ai comunisti va quella d'argento e, se il pubblico è di bocca buona, anche quella di bronzo: Stalin, in fondo, stava dalla parte del popolo, mentre è noto che Hitler il popolo lo odiava. C'era insomma una ragione, diciamolo, se Baffone sterminava i kulaki, i nemici politici e personali, il primo che passava, i mormoratori, le donne e i bambini: lo faceva "nel nome della causa", dunque per il loro bene. Hitler, invece, sterminava gli ebrei senza una ragione al mondo. Sul primo si sorvola: era un "socialista", dopotutto. Al secondo, un furfante, invece non si perdona nulla: non soltanto sterminò gli ebrei, ma era così infame che attaccò Stalin a tradimento, benchè tra loro ci fosse un trattato d'alleanza. Per questo c'è ancora gente, in giro per il mondo, soprattutto tra gli storici benpensanti, che se proprio dovesse essere sterminata, be', si farebbe sterminare volentieri dai marxisti-leninisti, non fosse che per il gusto di preparare il terreno ai piani quinquennali della "futura umanità". Ma s'offenderebbe a morte se qualche nazista, per rendere millenario il Quarto o Quinto Reich, decidesse di passarla per il camino. Costoro parlano di "ragione" e di "delirio" come ne discutono, nelle cliniche psichiatriche delle barzellette, il pazzo che si crede Napoleone e quello che si crede Nabuccodonosor. Infastidiscono, quasi quanto gli storici benpensanti, anche gli storici "revisionisti", che l'ovvia equivalenza tra regimi terroristici, evidente a chiunque abbia patito le pene dell'inferno sotto gli uni o gli altri indemoniati, la fanno sempre cadere un po' dall'alto, come una mancia nelle tasche del posteggiatore. Poi il Mulino, sia pure con oltre cinquant'anni di ritardo sulla prima edizione tedesca, che risale alla fine degli anni quaranta, traduce finalmente «Prigioniera di Stalin e di Hitler» (348 pagine, 14 euro), dell'ex comunista tedesca Margarete Buber-Neumann e la questione, da accademica che era, diventa completamente assurda, come i brindisi proposti dalla Lepre Marzolina alla Merenda del Cappellaio Matto. Margarete Buber-Neumann, che negli anni Venti era sposata col figlio del filosofo ebreo-tedesco Martin Buber e che dieci anni più tardi seguì a Mosca uno dei capi militari dell'Internazionale comunista, Heinz Neumann, col racconto puro e semplice della sua vita dietro i reticolati chiude semplicemente ogni discussione. Deportata in Siberia nel 1938, dopo l'arresto e la fucilazione del secondo marito, accusato di "trotzkismo", Margarete venne consegnata ai nazisti, insieme a tutti i comunisti tedeschi internati nei campi sovietici, qualche tempo dopo la firma del Patto Molotov-von Ribbentrop, nella cui scia Stalin e Hitler aggredirono insieme (e poi si spartirono, da buoni compagni) la Polonia. Nel 1940, in piena guerra europea, mentre le guerre-lampo del Terzo Reich spazzavano via una nazione civile dopo l'altra, Margarete Buber-Neumann e gli altri marxisti eretici tedeschi passarono, dalla sera al mattino e senza soluzione di continuità, dai lager di Stalin a quelli di Hitler. Già allora, con piena evidenza, non era più questione di chi fosse "peggio" e chi "meglio" tra i due grandi macellai, il russo o il tedesco. Erano esattamente la stessa cosa. Coltivavano lo stesso progetto, il dominio universale, e avevano gli stessi nemici, le democrazie occidentali e chiunque non si piegasse davanti ai loro eserciti. Più tardi, è vero, si sarebbero combattuti tra loro, ma come due galli nello stesso pollaio, e il colpo che non era riuscito a Hitler, trasformare l'Europa in un gigantesco campo di concentramento, riuscì almeno per metà a Stalin, che mise alla catena e recintò col filo spinato mezzo continente.Prigioniera di Stalin e di Hitler, oltre che un libro nel quale si fa definitiva giustizia di tutte le sciocchezze sul XX secolo alim