di ALESSANDRO MASI * IN UN UNIVERSO già di per sé complesso ed intricato come quello della medicina, ...
È però sufficiente un breve attimo di buon senso per giungere ad una conclusione molto diversa e forse più ragionevole: dai «farmacisti» a cavallo in marcia verso il capezzale del poveretto di turno ai medici in prima linea, dai lontani secoli delle erbe miracolose recuperate in cima a vette inaccessibili all'era contemporanea della ricerca e del progresso tecnologico, la comunicazione tra medico e paziente ha rivestito e riveste un ruolo tutt'altro che trascurabile, al punto da poter serenamente considerare le parole elementi spesso determinanti per alleviare o, in alcuni casi, aggravare la condizione psicologica e fisica dell'infermo. Indispensabile per un inserimento sociale e lavorativo degli extracomunitari, preziosa per una conoscenza più approfondita del nostro Paese, amata per la sua musicalità, per la sua armonia e per la sua bellezza, la lingua italiana si rivela dunque imprescindibile anche e soprattutto «in casa nostra», nella vita quotidiana, in particolare quando, nostro malgrado, siamo costretti a rivolgerci a qualcuno che sia in grado di prendersi cura dei nostri malanni. Al fine di perlustrare il linguaggio dei medici e della medicina da differenti punti vista e nell'arco di un ampio spazio temporale è uscito in libreria «Un treno di sinonimi», pregevole lavoro editoriale del noto linguista Luca Serianni, capace di illustrare sapientemente i sentieri che, nel corso della storia, hanno condotto alla coniazione di quei termini tecnici che tutti ormai considerano ancora oggi a dir poco astrusi o comunque troppo distanti dalle capacità poco «professionali» della gente comune. La pubblicazione ci ricorda che in nessun'altra scienza le parole hanno avuto tanta rilevanza quanto nella medicina, un settore che ha «depositato» nel vocabolario italiano un altissimo numero di lemmi medici, e che la consapevolezza del modo in cui esprimiamo i nostri sintomi è fondamentale per semplificare e rendere più diretto il rapporto con il medico, a patto che quest'ultimo non annunci solennemente che siamo affetti da acatafasia, ostecondrite, sindrome di Pickwick o addirittura da dizionarite o poltronite. Come ammette lo stesso Serianni la letteratura è ricca di esempi e situazioni che, più o meno scherzosamente, hanno affrontato l'argomento in questione. In qualche episodio «carpito» dalle pagine dei classici la diagnosi del dottore si mostra talmente chiara e coincisa da lasciare pochi dubbi in proposito. Vi ricordate le parole della Civetta e del Corvo, improvvisati medici di circostanza, di fronte al povero Pinocchio apparentemente sospeso tra la vita e la morte: «Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione», disse il Corvo. «Mi duole di contraddire il mio illustre amico e collega ma per me quando il morto piange, è segno che gli dispiace a morire...», aggiunse la Civetta. In questo caso, è doveroso ammetterlo, qualsiasi paziente, anche il più sprovveduto, sarebbe in grado di comprendere il verdetto dei due luminari: qui è proprio il caso di preoccuparsi... per la salute mentale del dottore. * segretario generale della Società Dante Alighieri