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DIBATTITO TRA ARCHITETTI AL PREMIO FEDERICO ZERI

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Il conflitto tra antico e moderno nel disegno delle città

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L'architetto ticinese Mario Botta, la cui fama internazionale si deve a progetti quali la riconversione del Teatro della Scala di Milano o il Mart di Rovereto, con queste parole sembra voler smussare gli angoli dell'aspro dibattito che divide i sostenitori dell'inserimento dell'architettura contemporanea nelle città storiche da coloro che invece difendono a spada tratta l'intoccabilità dell'antico. Al proposito sono ormai note le polemiche sulla sistemazione dell'Ara Pacis a Roma di Richard Meier o sul progetto della pensilina per gli Uffizi, a Firenze, di Arata Isozaki. Il tema del rapporto fra antico e moderno nelle nostre città è stato appunto al centro di una conferenza tenuta dallo stesso Botta a Roma, a Villa Medici, in occasione della cerimonia di consegna del Premio Federico Zeri per lo studio del patrimonio culturale italiano. In realtà, la conferenza si è poi trasformata in dibattito con gli interventi di uno dei maggiori esperti di restauro architettonico, Paolo Marconi e di Bruno Zanardi, noto restauratore di cui vanno almeno ricordati gli interventi sulla Colonna Traiana e sugli affreschi del Sancta Sanctorum, a Roma. «L'architettura contemporanea- ha precisato Mario Botta- deve inserirsi nei contesti storici senza furore modernista ma anche senza nostalgia del passato. È troppo diffuso un sentimento passatista che è tipico di una società debole come la nostra, incapace di proporre grandi valori e quindi intenzionata a rifugiarsi nel passato. In una città italiana l'architetto lavora più su un territorio della memoria che non su un territorio fisico. L'unico modo di rispettare il passato è quello di essere autenticamente moderni. E comunque l'architettura contemporanea è un problema di qualità: il nuovo inventato da Carlo Scarpa è un valore aggiunto all'antico». Proprio il tema della qualità architettonica ha provocato gli interventi di Zanardi e Marconi. Il primo ha denunciato il fatto che in Italia ci sono troppi architetti, circa 150.000. «Siamo nel paese del "tengo famiglia" - ha continuato Zanardi- e quindi ogni architetto, tramite conoscenze e canali di vario tipo, vuole mettere le mani su un progetto. E così nascono brutture di ogni tipo, specialmente nelle periferie. Si dimentica sempre che nell'antichità le cose si modificavano seguendo un ordine naturale ed armonioso, mentre oggi è tutto più selvaggio e incontrollato». Secondo Paolo Marconi, il problema non sta nel numero di architetti quanto piuttosto nella loro formazione. «Oggi le Facoltà di Architettura- ha detto Marconi - sfornano gente spesso impreparata, capace solo di fare schizzi improbabili che vengono passati agli ingegneri per tutti i problemi realizzativi. Questa situazione difficile si può risolvere solo con una maggiore attenzione alla didattica». L'ultima parola è stata naturalmente quella di Botta: «Le nostre città- ha detto il grande architetto - spesso sono brutte perché la nostra società è brutta. Nei prossimi decenni la sola urbanistica ragionevole sarà quella della demolizione, specialmente nelle periferie. E tra poco dovremo restaurare perfino il moderno, che spesso già cade a pezzi».

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