Con il suo nuovo libro Giampaolo Pansa continua il «viaggio» sulla guerra civile in Italia
490,euro 18), dal 12 ottobre in libreria - che racconta la guerra civile. Quella che non finisce il 25 aprile 1945. Sono infatti ventimila i fascisti - o presunti tali - scomparsi, torturati o uccisi dopo quella data. Chi ha visto, chi è stato testimone, non può dimenticare e l'autore dà voce a queste memorie incancellabili. Quando è cominciato il tuo lungo viaggio attraverso immagini demonizzate ed eventi ignorati o rimossi? «È cominciato quando ero bambino. Alla fine della guerra civile avevo nove anni e mezzo. E abitavo in una città piemontese dove tutto si è concluso il 28 aprile 1945. Ho visto i partigiani trascinati alla fucilazione, poi i fascisti nelle gabbie e destinati a morire, infine le ragazze "nere", o ritenute tali, rapate in piazza. Nessuno ha dovuto spiegarmi che gli attori di quel mattatoio erano due. La mia parte è sempre stata, e rimane, quella della Resistenza. Ne ho scritto molto, libri e articoli, a cominciare dalla tesi di laurea. Poi, a partire dal 1968, ho preso ad occuparmi della Repubblica sociale. Sino ad approdare alle storie dei vinti. L'ho fatto per tanti motivi. Equità storica, prima di tutto. Ma, lo confesso, anche per rabbia verso la mia area politica, l'antifascismo: troppo parziale, troppo cieco, troppo arrogante». A ispirare il titolo del tuo libro sono le targhe rettangolari di piombo che recavano, per l'appunto, la dicitura "Sconosciuto 1945" e che erano legate con una cordicella ai corpi dei morti ammazzati ignoti. Ma questo titolo potrebbe anche suggerire l'idea (e insieme l'immagine) di un anno che ancora, sotto tanti aspetti, non "conosciamo". Certo, finisce la guerra, ma "finisce" davvero? Ed oggi è davvero finita? «Sconosciuto il 1945? In parte è vero. Sono ancora troppi i buchi neri, o rossi, di quell'anno. A cominciare dal numero dei giustiziati dopo il 25 aprile. Penso che la cifra di ventimila sia inferiore alla realtà. La guerra civile con le armi è proseguita quasi senza pause sino alla fine del 1946, per un anno e mezzo. Poi c'è stata una coda al rallentatore sino al 18 aprile 1948. Ma anche oggi non è finita. Per fortuna, le parole hanno preso il posto delle rivoltellate. E a volte le parole sono pesanti come proiettili. L'Italia resta un paese diviso in due. Molti si odiano come si odiavano allora». Il tuo libro racconta storie di fascisti "fedelissimi", ma anche - o soprattutto? - di tanti Italiani che più che il fascismo amavano la Patria ed erano convinti di servirla "dalla parte sbagliata". Che cosa ha impedito a quelli della "parte giusta" di riconoscere la fondamentale onestà di quella scelta e di spiegarla ai giovani? «Lo ha impedito soprattutto la faziosità della sinistra, specialmente quella comunista. E il suo carico pesante di errori: la voglia di sostituire una dittatura rossa a una nera, lo stalinismo, la fedeltà all'Unione sovietica, il grado alto di intolleranza, la troppo lenta conversione alla democrazia e a un atteggiamento liberale nei rapporti umani e politici. Bisognava dire che i fascisti erano tutti brutti, sporchi e cattivi per far dimenticare le proprie mutande poco pulite. E imporre una storia incompleta, e spesso bugiarda, della guerra civile. È accaduto anche nella scuola, con l'esito che conosciamo: giovani troppo spesso privi di memoria o con la testa piena di bugie. Ecco una responsabilità pesante che non è stata ancora messa in luce sino in fondo». Senti di aver detto tutto quello che dovevi per restituire un volto all'"altro"? «No, non ho detto tutto. Dirò delle altre cose, ma non nel 2006. Sto preparando un libro sulla sinistra di oggi. Se Dio mi assiste, tornerò sulla guerra civile nel 2007». La tua collocazione a sinistra è indiscutibile. Lo confermano le tue battaglie politiche passate e quelle che attualmente combatti. Eppure c'è chi ti ha accusato di lavorare "oggettivamente" per la causa della destra. Chi appare sconcertato di fronte ai tuoi libri, e probabilme