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«La tv mi offende. Maradona che balla? Impari a invecchiare con dignità»

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..».Pino Daniele scherza, ma la sua è una sintesi calzante: il prima e il dopo di una rotta artistica che riapproda a Napoli dopo aver percorso i mari caldi del mondo, tra ritmi cubani, bossa nova, cha-cha, e naturalmente blues e jazz. Ma il ritorno al Mediterraneo, nel nuovo cd "Iguana café", appare — a tutta prima — spiazzante. Perché nell'era delle maxiofferte (dischi doppi, tripli, con video, gadget e chincaglieria varia in offerta) questa raccolta di inediti dura poco più di mezz'ora, con qualche miniatura che supera appena il minuto di durata: un soffio, il tempo di entrare nella canzone che è già evaporata via. Lui, Daniele, spiega che «questa è solo la prima parte di un progetto discografico che sarà completato l'anno prossimo», e che «altri cinque o sei pezzi finiranno lì, stavolta ho puntato alla qualità piuttosto che alla quantità, e questa sequenza ha una sua logica». "Iguana café" (che prende il nome da un locale di Parigi «dove mi sono sentito davvero a mio agio», precisa Pino) è una collezione di "latin blues e melodie" che insiste nella ricerca intrapresa l'anno scorso con "Passi d'autore", con voci e suoni di tradizioni ultrasecolari innestati in un tessuto moderno: ma qui («dove il timbro latino non è da musica da ballo, ma una coloritura, un collante») è tutto più rarefatto, impalpabile, con nuances tenui negli arrangiamenti, infiltrazioni rinascimentali, punteggiature d'archi e (anche nella cover del mambo per antonomasia, la "Patricia" targata Perez Prado) una sola grande protagonista: la chitarra di Daniele. Che ammette di essersi divertito a suonare, più che a verniciare d'impegno sociale le sue performance vocali. Ma quando parla, il musicista napoletano ne ha per tutti. A cominciare dal "mostro" della tv: «Il potere in Italia non è di chi ha la maggioranza in Parlamento, ma di chi domina lo share, di chi vince la battaglia dell'Auditel. La televisione diffonde ignoranza, e come musicista mi sento offeso: voglio comparire dentro quella scatola il meno possibile. Ho visto certi abbracci...forse molto presto anch'io potrei abbracciare Fini o Alemanno...L'audience può influenzare gli artisti, e può raccontarti versioni di comodo: ci fanno vedere Napoli come una città piena di problemi, ma sono gli stessi che affliggono New York, Parigi o Milano». È anche per questo, spiega, che al capoluogo partenopeo ha dedicato, nel cd, "It's now or never", la rilettura presleyiana di "'O sole mio", parzialmente cantata in inglese: «Perché è un classico ha una forza che va oltre la musica, e questo sole napoletano non è oleografico, quanto piuttosto un'immagine di augurio, di speranza. Io appartengo alla generazione della rabbia e della ribellione, però laggiù le cose non sono rimaste come trent'anni fa». Ma, come per un destino beffardo, gli dei maggiori di Napoli finiscono nella tanto odiata tv. Che dice Daniele di quel Maradona al quale un anno fa dedicava canzoni e che ora vede sgambettare dalla Carlucci? «Dico che bisogna saper invecchiare con dignità. Io ho cinquant'anni e non farei certe trasmissioni neppure se mi regalassero in cambio l'Isola de Li Galli, quella davanti a Sorrento...». Touché. I colleghi che si amucchiavano sul palco del Live8, mentre il Nostro si defilava in extremis? «Non c'erano gli africani, e neppure io. Non è professionale chiedere ai musicisti di andare allo sbaraglio senza garantire la resa artistica dello show. E comunque io non dovevo fare promozione a un mio disco... Ma dobbiamo continuare a credere al valore di certe manifestazioni. Io, poi, non voglio cedere alla rassegnazione. Ogni giorno mi dico: smetto di suonare. E devo tirare fuori le palle, ho ancora troppe cose da fare». Studiando magari nuove soluzioni per esportare il blues partenopeo. «Non è la musica a essere in crisi, ma il supporto fonografico. Accade in tutto il mondo, non solo da noi. Ma io mi concentro sui suoni, non mi piace organizzare i fans club o gestire l'azienda-Daniele. Non voglio finire con la faccia stampata sulla

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