VISTO DAL CRITICO

ANCORA, per Benigni, il pianto e il riso. Sublimati da un fortissimo sentimento d'amore. In una cornice in cui, di nuovo, ha spazi ampi la tragedia. Nella «Vita è bella», un campo di concentramento nazista, in questo film, la guerra, anzi, una delle più insanguinate di oggi, quella in Iraq. Nella favola, che è anche cronaca — scritta da Benigni con Vincenzo Cerami — si prende lo spunto da un poeta, che non a caso si chiama Attilio come il compianto Bertolucci. È esuberante, disinibito, insegna poesia all'università un po' a modo suo, però è anche un buon padre di famiglia nonostante le sue bambine, svagato com'è, rischi di accompagnarle a scuola sempre in ritardo. Nella sua vita c'è un grande amore, per Vittoria, una studiosa di cui si sogna sia di giorno sia di notte, perso di continuo nelle sue fantasticherie. È sempre respinto, ma lui non demorde così quando apprende che, per il suo lavoro, non solo è finita a Baghdad ma, essendoci arrivata proprio all'inizio della guerra, è stata ferita in modo gravissimo, lui non esita e la raggiunge addirittura in motocicletta e poi perfino a dorso di cammello. Un'impresa, tuttavia, che non si conclude così perché adesso, in quella città disastrata in cui manca tutto, Attilio dovrà fare i salti mortali per trovare le medicine con cui fare uscire Vittoria da un coma. Appena ci riuscirà non si godrà la gioia di quella guarigione perché, per un equivoco, finirà in un campo di prigionia americano. Un lieto fine comunque ci sarà, a differenza della «Vita è bella», ma si dipanerà in una cifra che, furbescamente, mirerà alla sorpresa. Tutta l'azione fa perno su Benigni, attore, sceneggiatore, regista. Specie quando il suo personaggio lo affida a una furia amorosa che lo induce a compiere le imprese più spericolate e più folli. Trovando sempre, in questa follia, due occasioni in contrasto tenute regolarmente in equilibrio fra loro: il dramma, affannoso, violento, pronto a percuotere, e la commedia, spinta a volte, perfino verso la farsa, con giochi, lazzi, scherzi di gustosissimo effetto però ogni volta nelle misure giuste, perché non vi si infiltrino eccessi. Con la possibilità, per Benigni attore, di cavalcare il suo film dalla prima pagina all'ultima: ora frenetico, euforico, veemente, ora sommesso, dolente, quasi disperato. Con una recitazione che domina tutto con maestria, anche quei dialoghi in cui, intenzionalmente, si fanno strada i versi di notissimi poeti. Al suo fianco Nicoletta Braschi, come Vittoria, e Jean Reno, nei panni di un letterato iracheno di cui lei intendeva scrivere la biografia: lo spunto per quel viaggio in Iraq che irrompe nella favola.