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Lo showman racconta il suo rapporto con la letteratura. Tra romanzi leggeri e capolavori

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Io, Bonolis, ho paura di Tolstoj

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Un hobby, o qualcosa di più, per trasformare il piacere di leggere in arricchimento culturale ma soprattutto in «ritmica della parola ed essenzialità della frase», come lui stesso ci tiene a sottolineare. E come è dimostrato dal suo linguaggio forbito arricchitosi nel corso della carriera da neologismi di sua invenzione, tra cui il più noto è quella «varieganza» da lui definita «crasi concettuale tra varietà e fragranza». Una parola prima inesistente, coniata dalla versatilità di un conduttore che, qui, in una veste inedita, intimistica e sorprendente, racconta la propria iniziazione alla letteratura, svela gusti, preferenze, tendenze tra gli scrittori di ieri e di oggi. Ed anticipa che c'è un libro, la cui lettura gli è stata più volte sollecitata, ma al quale non si avvicinerà mai. Quando è iniziato il suo rapporto con la lettura e come si è evoluto nel corso degli anni? «L'operazione di avvicinamento al libro, iniziata da mia madre quando ero in età infantile con i testi per ragazzi di Verne e Salgari, è continuata dai quattordici ai sedici anni, con l'amore per la fantascienza e le teorie di Asimov. Ma è stato "La nascita della controcultura" testo che ci fece leggere il professore di italiano sui movimenti controculturali, ad avviare definitivamente il mio percorso verso la letteratura. Oggi mi divido equamente tra il romanzo leggero e disimpegnato ed il romanzo di maggiore spessore». Qual è stato il suo approccio con i classici della letteratura scolastica, da Dante a Manzoni? «L'imposizione, come dovere, di un testo, porta necessariamente uno studente di quindici anni a prenderne le distanze. È accaduto a me, e penso accada ancora ai ragazzi di oggi, ad esempio, con "La Divina Commedia" di cui ho imparato ad ammirare il grande amore per la metrica di Dante e le profonde intuizioni. Stesso discorso per "I Promessi Sposi" di cui non si è in grado, a scuola di apprezzare la vasta portata storica. Per la lettura credo esista in ognuno di noi un timing naturale, ovvero un momento che ci avvicina ad un determinato libro». Qual è stato il suo timing naturale? «Quello che, in concomitanza con la lettura, forzata, de "I Promessi Sposi", mi ha portato ad abbandonare Manzoni ed a leggere "Memorie del sottosuolo" di Dostoevskij, il libro più bello in assoluto della mia vita che mi ha catturato in un vortice di curiosità e di interesse. Non è stata mancanza di rispetto per il romanzo del Manzoni, solo un approccio sbagliato. Poi ho amato svisceratamente "Cent'anni di solitudine" di Gabriel Garcia Marquez, la cui splendida frase di inizio con la prima descrizione del villaggio di Macondo dove si svolge la vicenda, che ricordo a memoria, ha rappresentato per me un'autostrada panoramica sul libro e mi ha impressionato subito a livello letterario». E oggi, chi sono i suoi scrittori preferiti? «Adesso a Dostoevskij preferisco i moderni perché a 44 anni determinati problemi voglio che vengano analizzati e risolti da scrittori a me coevi. Ho apprezzato la saggistica di André Glucksmann, il bellissimo volume di Tom Robbins "Uno zoo lungo la strada" e i libri di King, soprattutto la serie sulla torre nera con la sua ipotesi delirante di universi paralleli. Non amo le biografie e preferisco la fantasia alla realtà. Ho convissuto poco, invece, con la letteratura antica francese: Massimo Troisi mi diceva sempre che non si può leggere tutto, c'è troppa roba in giro, bisogna scegliere». Si è conclusa adesso l'influenza di sua madre sulla sua cultura letteraria? «Sto resistendo da anni e resisterò ancora, alla sua sollecitazione a leggere "Guerra e pace" di Tolstoj». Cosa significa per lei l'approccio ad un libro? «Leggere è un modo per moltiplicare la propria esistenza, assumere tante vite differenti mentre scorrono i secondi della lettura. I libri sono specchi che riflettono l'animo di chi sta leggendo». Quanto è stata importante la lettu

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