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Arriva l'attesissimo «La tigre e la neve» con Benigni catapultato in Iraq durante il conflitto

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Sarà l'amore l'antidoto contro la guerra

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Tantissimo! Io detesto morire, anzi, penso proprio che sarà l'ultima cosa che farò nella mia vita!» È un Roberto Benigni senza filtro, quello che incontriamo per parlare del suo nuovo film «La tigre e la neve», ambientato nel corso dell'ultima guerra in Iraq. La pellicola, che uscirà nelle sale il prossimo venerdì 14 ottobre, vanta nel cast, oltre alla sempre presente Nicoletta Braschi (moglie del regista-attore), nomi internazionali del calibro di Jean Reno e Tom Waits. Benigni, nella «Vita è bella» lei ha trasformato l'orrore dei campi di concentramento in una favola, e il mondo l'ha seguita. Questa volta va addirittura nell'Iraq devastato dal conflitto, dove il suo personaggio, Attilio, fa un'involontaria parodia di un terrorista kamikaze. Insomma, non le sembra di speculare un po' sulle paure della gente? «Bene, la ringrazio per la domanda anche se usa un verbo terribile: "speculare", ma va bene lo stesso, perché bisogna dirsi tutto. È meglio. No, per me non c'è nessuna speculazione. Voglio dire che non voglio certo essere io, un attore, a raccontare alla gente gli orrori della guerra. Quelli li conosciamo tutti benissimo. No. Io racconto una storia d'amore, cioè la piccola guerra di un omino che tenta con tutte le sue forze di salvare la vita alla donna che ama conducendo una sua guerra personale accanto a quella della Grande Coalizione Alleata contro Saddam Hussein. Quindi nessuna speculazione. Casomai, proprio nell'episodio da lei ricordato (Attilio viene scambiato per un kamikaze ad un posto di blocco Usa, mentre il suo giubbotto è pieno solo di medicinali, ndr) io penso di avere compiuto un atto di coraggio. Sì, perché è la prima volta in cui vediamo un corpo comico, come il mio, interpretare una scena drammatica. Esplorando così zone nuove e sconosciute della messa in scena. Questo è il compito di un artista». Lei ha dichiarato che l'amore è la forza più eversiva di tutte, persino della violenza della guerra. Ne è proprio sicuro od è solo una bella frase di lancio per il suo film? «Sicurissimo. E non parlo dell'amorucolo "smack smack", è chiaro, ma di quella forza travolgente che prende l'uomo e lo trasforma in un… vulcano, ecco, capace di tutto, di travolgere le cose, di andare contro la sorte. Perché io credo sinceramente che senza amore tutto dal sole a questa sedia, sia morto. Che ci appaia senza valore. Insomma, senza amore c'è solo la morte. Più eversivo di così!» Quindi, se due terroristi sanguinari come Al Zarqawi o Bin Laden fossero innamorati di qualcuno lei pensa che la smetterebbero ? Che cambierebbero lavoro? «Assolutamente sì. La violenza, la guerra, il terrore che gente come loro riversa addosso agli altri uomini deriva proprio dalla mancanza d'amore, e qui dico una banalità, ma soprattutto dalla voglia di non guardarsi dentro. Ed invece, guardare dentro una persona, è facilissimo... (Benigni tenta di scherzare sull'argomento, a fatica) Se io incontrassi, che so, Bin Laden, gli direi «Bin! Insomma…» (ci ripensa, esita…) no, forse no, nei suoi occhi vedrei soltanto la chiusura totale, l'orrore, il nulla…» Ancora una domanda. Se dovesse scegliere tra uscire col suo film in un mercato grande e ricchissimo come gli Stati uniti (dove effettivamente «La tigre e la neve» è atteso entro fine anno, ndr) od in uno significativo ma piccolo come l'Iraq, quale sceglierebbe? «Io sceglierei di uscire in tutto il mondo (stavolta ride come sempre)! L'artista è cittadino del mondo, no? Ed io esco in tutto il mondo. Di sicuro, però, anche in Iraq, dove mi auguro possano vederlo il più presto possibile».

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