Arriva Wagner in salsa porno
in questa città razionale e drammaticamente ordinata, dove il colore grigio non è frutto d'una elegante predilezione ma il naturale specchio dell'anima appartata; in questa città silente, aristocratica e alquanto ascetica, tutt'ad un botto, come un vulcano impreveduto che prenda ad eruttare lava a quattro ganasce, è scoppiato con inaudita violenza il porno. La cenobitica gente ginevrina ha distolto lo sguardo dagli alti monti, dal placido lago e dai fervidi negozî e s'è guardata muta, a verificare se fosse desta. Il porno? Esterrefatta s'è chiesta: «E dove mai?». E quando ha saputo che il porno albergava nientemenoche nel prestigioso Grand Theatre, vanto della cultura musicale ginevrina e svizzera tutta, è sobbalzata - e sul polso gli orologî dal mitico tic-tac tic-tac si sono d'un súbito bloccati: scandalizzati da ciò che il tempo in atto aveva loro mefistofelicamente combinato. Narrano le cronache mitteleuropee che al Grand Theatre andava in scena il «Tannhäuser» di Wagner, non importa da chi diretto e da chi cantato, siccome suole oggidí, ma curato per la parte scenica da tal Olivier Py il quale, a suscitare interesse e clamore coi mezzi che piu gli si confacevano, ha scritturato un attore porno ad impersonare, per breve tratto, la figura di Zeus inghirlandato da una chiostra di femminelle lascivette. All'uopo entrava costui in scena ignudo come Natura l'ha progettato: non solo: affatto ignudo con la prominenza virile affatto inastata: a gloria imperitura del potere generante (od anche ludico, sic et simpliciter). Non era possibile reperire, ha pensato il Py, un attore qualunque, che magari incappasse in umanissime defaillances al cospetto degli esigenti (eticamente parlando) ginevrini: meglio assai un professionista dell'esibizionismo, uso a mai rincular dalla gagliarda postura, manco a fronte dei peggio contrattempi, di qualsisíasi tipo, che negativamente incidono sull'eroica resa: sulle virtú proprie ai dolci cigolii del fervido talamo. Ad onor del vero, il Py ha pyamente messo sull'avviso il probabile pubblico: «Badate che la mia mis-en-scène wagneriana sarà anticonvenzionale: chi non tollera trasgressioni per dir cosí nerborute eviti d'avventurarsi in platea.... Uomo avvisato mezzo salvato». D'accordo. Ma gli è che non possiamo non ribadire, di la da facezie & idiozie, che il malgusto è padrone di una società - ahinoi! la nostra - sprofondata nei vortici dell'horror vacui. Non fa eccezione il mondo del melodramma che, mai distintosi per particolare perspicacia, ha toccato oggi il fondo. Poveretta questa lirica: s'affanna vieppiú piú ad appellarsi ad allestimenti bislacchi, esteticamente osceni, a base di nudità baracconesche lungo una becera parata di poppe saliscendi, umbilichi tremoleggianti e chiappe villose. E cosí il pur raffinato Pizzi imbratta l'«Idomeneo» mozartiano a Brescia con un Nettuno nudo; allo Sferisterio di Macerata «Le bel indifferent» di Tutino contempla un tizio smutandato intento alla lettura di un quotidiano che gli occulta le gaie pudende; «Un ballo in maschera» ad Ancona è sfregiato dalla regía di Cobelli che immagina il Fato al femminile colle tette al vento scorazzante da un canto all'altro del palcoscenico tra negri in catena e pellirosse; cosí il «Don Giovanni» mozartiano di Martone s'avvale dello striptis d'una garzoncella felice d'esser retta dalle braccia dell'allupato femminiere.... La lista protrebbe continuare per lunga pezza (ad esempio con le Traviate lesbiche) se quanto qui citato non fosse piú che bastante a smascellarsi dalle risa a petto d'un gusto operistico da raccapriccio.