Mediaset copia la Cdl. Per perdere
Se il Montalbano di Camilleri e Zingaretti in onda su RaiUno riesce a mangiarsi in un sol boccone la tenera e romantica Elisa di Rivombrosa di Canale 5, forse è anche colpa di Berlusconi. Se Simona Ventura doppia quel Paolo Bonolis pianto dalla Rai come un figlio scappato di casa e la stessa signora va a gonfie vele con « e con «, come se non avesse avversari, c'è qualcosa che non va. E se Bruno Vespa con il solito Porta a Porta neppure spolverato, schiaccia subito il Matrix fresco fresco di Enrico Mentana, mentre Pupo riesce a compiere il miracolo che si pensava fosse prerogativa di Bonolis: forse la ragione sta tutta in qualche « passo falso. Silvio Berlusconi, fondatore di un impero televisivo, genio della comunicazione e della pianificazione pubblicitaria, prima di mollare tutto, buttarsi in politica e fare il presidente del Consiglio, ha esportato negli anni, pian piano, tutta la strategia vincente della squadra Mediaset alla Rai. Trascurando il suo giocattolo originario, perché da imprenditore puro si è trasformato in un politico a tempo pieno, ha fatto sì che tutta quella filosofia fatta di aziendalismo, spirito di squadra e grande voglia di lavorare e di vincere la sfida della concorrenza, si trasferisse in blocco a viale Mazzini. Lavando via quel grigio e quella patina di vecchio e di immobilismo che regnava nel servizio pubblico stratificato negli anni dei governi di centrosinistra, gli ha restituito la vita , togliendo ogni energia e ragion d'essere a Mediaset. Facendo un paragone impossibile, è come se Berlusconi avesse abbandonato pian piano il suo « figlio, per adottarne un altro, che alla fine diventa però talmente forte da far soccombere il primo. Quello « fatto nascere e crescere con amore, ma poi lasciato al suo destino. E così, come in politica quel voler sempre venire incontro ai desideri dei suoi alleati, agendo come un papà preoccupato e premuroso disposto a incassare le aggressioni più insopportabili, a perdonare le offese e magari pure i tradimenti, senza quasi serbare rancore, ha progressivamente indebolito la sua posizione a vantaggio degli alleati e messo in crisi perfino la sua leadership, ecco che per migliorare la Rai, per darle nuova linfa e rilanciarla sul mercato con una iniezione di manager e di energia dialettica, ha abbandonato Mediaset alla deriva. Al punto che alla Rai perfino i consiglieri ex onorevoli di opposta fazione sono ora così civilmente soddisfatti di partecipare ad un progetto di rilancio sicuro e sostenuto dalla loro stessa concordia, che vanno d'amore e d'accordo e si aiutano reciprocamente. Mentre a Mediaset, in quella che era un'isola felice di lavoro giovane e stimolante, ora regna l'insoddisfazione e il sospetto e si litiga in continuazione. Direttori che non si parlano, giornalisti invidiosi e una grande incertezza regnano in quello che una volta era il paradiso del successo, del lavoro soddisfacente e della carriera sempre in ascesa. Una volta il gruppo televisivo del Biscione trasformava in oro tutto quello che toccava e entrare a Mediaset significava aver vinto al totocalcio. Ora invece, Mediaset in caduta libera è lo specchio del sacrificio berlusconiano sull'altare della politica. Gli ascolti che non decollano nell'intrattenimento come nell'informazione, sono la spia di un passo falso. Di un errore che sta constando caro. E se pure uno nato per fare il capo come Berlusconi, sbraca e si fa mettere i piedi in testa dai suoi « di alleati, che un giorno s'accordano e l'altro ti sparano alle spalle, ecco che crolla il castello delle fiabe con tutto il principe, la principessa e il loro futuro radioso. E crolla pure Mediaset sotto i colpi di quei capitani di lungo corso di viale Mazzini, targati fino al midollo e spesso con anni di militanza poltica e sindacale alle spalle, pronti a offrire anche un'immagine inedita e idilliaca del proprio governo pluripartitico pur di far sfigurare quel Biscione stanco e abbandonato, dove l'armonia e il senso di appartenenza non esiste più, no