Gelmetti e Proietti
Dolcezza è servita
L'abbiamo a lungo cercata nelle pasticcerie della metropoli, ma non l'abbiamo trovata. Neppure nelle latterie, nei negozî di balocchi, nelle profumerie piú sofisticate. Non i fiorai, non le enoteche; non i maghi o gli alchimisti che tramutano il fiele in zabajone. Nemmeno le confitures ed i piu varî mieli erano in grado di soddisfare al nostro desiderio. Abbiamo allora ripiegato su noi stessi, se mai qualcosa, anche solo un frantume, ci fosse rimasto nel cuore d'antica data: niente, nessuna piú dolcezza!... Inclini ormai ad un sentimento di rinunzia-spleen che lambiva l'ambascia, siamo entrati a sera nel Teatro dell'Opera di Roma, ad ascoltare «Le nozze di Figaro» di Mozart. Là finalmente l'abbiamo trovata, quella dolcezza, e quanta ne volevamo: ché ancora ci sembra d'esserne appagati, come una fiorente stagione riflette di sé anche i prossimi campi d'autunno. Del resto si rammenti, a proposito delle «Nozze» mozartiane, che lo stesso Schopenhauer, diuturnamente incasinato nelle serrate lucubrazioni del proprio arcipessimismo cosmico, a tal segno da non mai occupare una poltrona di teatro onde non smussare gli aculei del ragionamento con un'inticchia di relax, faceva eccezione per il capolavoro mozartiano, le cui rappresentazioni pare non si lasciasse scappare per nessuna ragione. Forse, gli è che il tetro teutonico non giudicava cosa inopportuna segretamente aspergere di quell'interminata dolcezza la propria terrifica Weltanschauung. Ed all'insegna d'un'acconcia dolcezza risuonano anche «Le nozze» allestite nel «tempio» lirico quirite. Ne vada dato merito al maestro Gian Luigi Gelmetti, i cui anni non stanno trascorrendo invano circa l'affinamento della sua sensibilità artistica. Ora il direttore approda ad una felice intelligenza mozartiana - ardua tra tutte - poggiata sulla consapevolezza che l'ideale «classico» inverato dal salisburghese vibra in vita di suono a traverso il senso della misura dell'espressione, dell'armonia e della proporzione fra le parti. Mozart ti addita un barbaglio dell'umana «perfezione», ma, di conseguenza, il senso della sua fugacità, e dunque della sua melanconía. La perfezione vola: coglierla è atto struggente e elusivo. Occorre usare mille accortezze e, sovrattutto, lasciar cantare la musica senza intrugliarla d'amminnicoli o chiose soggettive, già che il «classicismo» è espressione ideale dell'euritmia della Natura, mica dei vorticosi dedali dell'Io. (Tuttavia badi il Gelmetti a non stringere oltre modo i tempi nei concertati, a non coprire le voci col suono strumentale ed a non mettere in pericolo le voci stesse con tempi troppo slargati, se pur attraenti per umidosa sensualità). All'analogo sentimento di raffinata costumatezza s'atteggia, rispettosa della musica, la regía di Gigi Proietti, cui sovvengono le scene ed i costumi, tradizionali e di squisito gusto, firmati da Quirino Conti. Né s'ometta di lodare un team vocale mozartianamente azzeccato: a nostro avviso dominato dal Figaro di Alex Esposito e dal Conte di Marco Vinci, saldi ed autorevoli, cui s'affiancano le signore Anna Rita Taliento (una contessa atta ad emozionare) e Laura Cherici (una Susanna dai donneschi talenti). La cifra adolescenziale e ambiguamente erotica di Cherubino non s'addice punto però alla voce, qui algente e cartesiana, della signora Laura Polverelli, remota dagli ammiccanti anfratti psicologici del personaggio. Gli altri della compagnia, Orchestra e Coro, ok. Nell'annotare da ultimo il caloroso successo conseguito da una première ricca d'applausi a scena aperta, raccomandiamo detto spettacolo agl'immacolati supporters delle cose belle e sempreterne.