«La mia vita con l'Alchimista»
Il 58nne scrittore brasiliano, che ha venduto 65 milioni di libri in tutto il mondo (5 milioni dei quali in Italia) è atteso nella Sala della Protomoteca dal sindaco di Roma, Walter Weltroni, e dall'Associazione Librai italiani per ricevere un meritatissimo premio. Intanto, ieri, a Milano, nella sede della Bompiani, la sua casa editrice italiana, il popolarissimo Coelho ha accettato di rispondere alle nostre domande sul suo destino di scrittore di successo. Coelho, i suoi lettori sono oltre 150 milioni e potrebbero abitare un continente; mentre i suoi libri sono venduti in 156 Paesi, oltre due terzi del mondo (195 Paesi). Eppure, lei ha rischiato di restare uno scrittore sconosciuto. Come si è compiuto il suo destino, o la sua "leggenda personale", secondo la sua definizione preferita? «Devo tutto alla perseveranza. Scrivo da 20 anni e sono stato vicino a una possibile sconfitta. Ho avuto alti e bassi, sono caduto più volte, ho sofferto e ho vissuto momenti di felicità. Oggi, a Barcellona, c'è chi sta scrivendo la mia biografia (sarà un libro di circa 500 pagine). Non la scrivo io perché mi annoierei a raccontare me stesso, così ho dato a quest'autore ampia libertà: gli ho aperto la mia casa, i miei archivi. Lui ha incontrato i miei amici e i miei nemici, sta lavorando e ogni tanto vado a trovarlo. Il libro uscirà tra un anno e mezzo. Di me posso dire che ho rispetto per quello che sono stato: avevo un sogno, l'ho seguito. A questo sogno mi sono avvicinato e poi me ne sono allontanato. Ma dopo il "Cammino di Santiago", nel 1987, finalmente, l'ho realizzato. E sono qui, a parlarvi, ancora oggi». C'è stata una trasformazione, come scrittore, da "L'alchimista" al suo ultimo libro "Lo Zahir" uscito da Bompiani? «Tutti i miei libri hanno la stessa caratteristica: sono diretti, senza essere superficiali. Scrissi "L'alchimista" nell''88 e non andò subito bene (in Brasile, il primo anno, aveva venduto solamente 900 copie): l'editore mi restituì il contratto. Eppure, Elisabetta Sgarbi, dieci anni fa, precedette la Feltrinelli, prese il libro per Bompiani ed ebbe il coraggio di stamparne subito 50mila copie. I miei personaggi si comportano diversamente, perché un pastore è diverso da un profeta, come una prostituta è diversa dallo scrittore de "Lo Zahir". Ma io non applico delle formule, seguo ciò che sento nella mia anima, dentro di me. Se non fosse così, il lettore non capirebbe dove sono e io non venderei così tanto». La fede e la spiritualità sono costanti nelle sue opere. È d'accordo con chi la definisce "profeta della New Age"? «Per niente. Nella mia vita mai, dico mai, ho pensato alla New Age. Io sono religioso, sono cattolico: quando ci riesco, vado a messa una volta a settimana, credo che il pane si trasformerà nel corpo di Cristo e il vino nel suo sangue, e credo nella rivelazione dello Spirito Santo. Nessuno può spiegare questo: è un atto di fede. E, come cattolico, accetto i misteri della fede. La New Age, invece, cerca di dare spiegazioni a tutto ciò. Jung mi ha parlato e mi fatto capire che il dogma è la maniera più sofisticata del ragionamento umano. La mia chiesa ha alcuni dogmi e non hanno nulla a che fare con la New Age». E, da credente, qual è la sua posizione verso le altri religioni, come l'Islam? «Le rispetto. La religione islamica è difficile, ma va compresa, perché il suo obiettivo è lo stesso delle altre religioni. È difficile capire gli ebrei durante lo Shabat, come è difficile capire il voto di castità dei preti cattolici. Allo stesso modo, va accettato e rispettato ciò che è difficile capire nella religione islamica. Eppoi, Islam e fondamentalismo non sono la stessa cosa. C'è chi li confonde e sbaglia. Il fondamentalismo si può incontrarlo in qualsiasi religione e persino in settori della società laica, come la politica, dove i conservatori prendono piede dappertutto». Che cosa pensa del nuovo papa Ratzinger? «È prematuro giudicarlo perché, da papa, non ha