Italiani maltrattati come cenerentole
Giovanna Mezzogiorno aveva tutte le carte in regola nel bellissimo film di Cristina Comencini «La bestia nel cuore»: una interpretazione lacerata, per un verso tutta interiore, per un altro capace di toccare tasti forti, note alte. Senza mai cadere in contraddizioni né in contrasti sbagliati. Speravo però che, insieme con lei, venisse premiata anche Cristina Comencini che ci ha dato il suo film più maturo, quello che l'ha ormai inserita fra i nostri autori maggiori, facendole raccogliere splendidamente il testimone trasmesso da suo padre Luigi. Il silenzio su di lei, come sugli altri due qualificatissimi autori italiani, Pupi Avati con «La seconda notte di nozze» e Roberto Faenza con «I giorni dell'abbandono», rimarrà una lacuna nel verdetto e non può non dispiacere. Restando comunque agli attori è giusto consentire, e senza riserve, al premio per David Strathair, l'aggressivo e saldissimo protagonista di «Good Night, and Good Luck» di George Clooney, nonostante, anche qui non sarebbe stato sbagliato onorare proprio quel film di cui era al centro e che qui era stato indicato da tutti — critici e pubblico — come il migliore in assoluto. È stato però premiato almeno per la sua sceneggiatura e questo, in parte, gli ha consentito una rivalsa. Il migliore, invece, quello cui attribuire il Leone d'oro, è stato ritenuto quel «Brokeback Mountain» in cui Ang Lee era riuscito a svolgere con indubbio lirismo una cupa storia d'amore fra due cowboys omosessuali. Meriti ne aveva, impossibile disconoscerli, altri film però ne avevano altrettanti, anzi di più, e non sarebbe stato un errore preferirli a quello. Ottima decisione — lo dico subito — quella relativa al Leone d'argento fatto vincere al film in bianco e nero di Philippe Garrel «Les amantes réguliers». Era vero cinema, anche se difficile, ed era proprio quel cinema cui una Mostra d'arte come la nostra deve dare risalto con tutto il più ammirato rispetto. E restando al cinema francese direi che sia stata un'ottima decisione anche quella di onorare con un Leone speciale le doti di una interprete come Isabelle Huppert che non solo qui alla Mostra, con «Gabrielle» di Patrice Chéreau, a dimostrare di saper dominare tutti i segreti della recitazione privilegiando i toni sommessi, ma attraverso gli anni è venuta costruendosi una carriera che non ha conosciuto cedimenti. Con una linea ascendente, anzi, che l'ha logicamente condotta al successo di oggi. Cui, ne sono certo, altri seguiranno. Intanto questa bella Mostra si è conclusa. Domani ne tirerò le somme. Con soddisfazione convinta.