Le scelte dell'amministrazione Usa hanno spinto gli artisti a riscoprire l'impegno politico
Star miliardarie contro Bush
Il risultato è che il versante politicizzato, o almeno quel settore dove musica, canzoni, testi e atteggiamento scendono in campo, è riservato agli artisti ignoti, quelli emergenti che magari non ce la faranno mai. In buona sostanza gruppi, band e solisti da centro sociale, che possono vantare un pubblico ristretto e fedelissimo ma ininfluente ai fini del business. Negli Stati Uniti e in Inghilterra, i mercati che contano, dove il ricambio di celebrità è continuo, la panoramica si presenta più interessante. Ha fatto scalpore, per esempio, l'imprevedibile impegno dei Rolling Stones, un gruppo che per la verità non deve dimostrare niente a nessuno. Saranno pure stati definiti Strolling Bones, ovvero "ossa ambulanti" - in riferimento al fatto che in quattro fanno 245 anni d'età e che comunque rotolano da 42 - però con il presidente Bush l'hanno messa giù dura: "Ti definisci un cristiano/ io ti considero un ipocrita/ti chiami patriota/ Beh, io penso che tu sia pieno di m...". Sono i versi di "Sweet neo-com", da molti considerata la traccia-fantasma del nuovo album di Jagger e compagni, "A bigger bang", i quali sono riusciti a prendersela anche con Condoleezza Rice. In tanti anni di attività non avevano mai mostrato un simil fervore. Pronta la risposta di Eric Clapton, mitico chitarrista inglese, il quale senza mezzi termini ha dichiarato di avere orrore dei musicisti impegnati politicamente. Compresi i suoi vecchi amici Stones. Anzi, visto che ci stava, ha colto l'occasione al volo per spargere veleno, ricordando che nel luglio del 1969, all'indomani della scomparsa di Brian Jones, Jagger e Keith Richard gli offrirono di entrare nella band. Clapton rifiutò. Però ha dimostrato di avere la memoria corta, visto che i due co-leader offrirono quel posto a tutti i migliori chitarristi inglesi del momento, da Jeff Beck a Jimmy Page, da Stevie Marriott allo stesso Clapton, oltre ad una lunga serie di chitarristi nero-americani... Poi la scelta cadde su Mick Taylor, proveniente dai Bluesbreakers di John Mayall. Dopo il brano anti-Bush degli Stones anche una cantante come Barbra Streisand - ormai più legata al mondo sfavillante di Las Vegas che non a quello dell'impegno - ha sentito l'esigenza di presentarsi con una canzone di protesta verso la guerra in Iraq. Il brano, "Stranger in a strange land", recita infatti: "Tu potresti essere l'amore di qualcun altro, che combatte per la guerra di qualcun altro". Nel video le immagini della cantante sono sovrapposte a quelle delle truppe americane di tutte le guerre, ma soprattutto in Iraq. L'ambivalenza nei confronti della globalizzazione e la reazione populista di molte rockstar hanno finito per dividere i progressisti di entrambe le sponde dell'Atlantico in due schieramenti: i neoliberisti dell'ultima ora, che chiedono mercati senza frontiere e i pavidi protezionisti sindacali che auspicano un rafforzamento delle "frontiere artistiche". Davanti alla globalizzazione del music business si soffre ovunque di schizofrenia, divisa com'è tra i suoi istinti egualitari in materia discografica e le paure reazionarie sul piano musicale e culturale. Già, perché a conti fatti Eric Clapton, 60 anni, deve pur lanciare il suo nuovo album, "Back home"; per non parlare della Streisand (che di anni ne ha tre di più), alle prese con il nuovo "Guilty pleasures", prodotto in collaborazione con l'ex cantante dei Bee Gees, Barry Gibb, per anni campione del più classico disimpegno in musica. In tutto questo confuso riposizionamento, in una atmosfera da tramonto e polvere, di tutti