Ciao Endrigo il cantautore gentiluomo
Istriano di Pola, cresciuto e pasciuto nella grande epopea del night, Endrigo si stacca ben presto da quel mondo notturno frivolo che comunque gli regala ampie soddisfazioni. Già all'inizio degli anni Sessanta delinea il suo mondo, quel trascorrere lento e riservato, la ricerca degli angoli incontaminati, le ombre e le luci, la bruma e la rugiada. Endrigo è il gusto per il tempo andato, con le sue biblioteche nelle case patrizie, con il ritmo lento scandito dalle conversazioni dotte, con quell'educazione sempre in punta di piedi e nel rispetto dell'intimità altrui. Ci mancheranno molto quelle piccole storie in due minuti, il costante sforzo nel capire il proprio tempo, intuirne le linee nascoste, avere del proprio presente un'idea collettiva, cantare per cantare quando se ne ha voglia, anche se non è il caso. Usare la canzone come espressione completa di sé. Si è ironizzato spesso sulla sua esagerata malinconia, sulla presunta tristezza, senza far nemmeno riferimento al suo volersi sincero e dare alla canzone quella piccola dose di amarezza che le compete, ripetere un'allegria desiderata più che vissuta, allestire in ogni brano il proprio piccolo rituale d'amore, cercare la propria malinconia nella lontananza, e la propria disperazione nell'assenza. Ecco, tutto questo, e non solo questo, era l'universo Endrigo: avere un'idea nella voce, mai forzata ad altro, mai compromessa all'ipocrita volontà di fare comunque, essere presente con acutezza per quell'eco sottilmente inattuale che la distingue, come quei suoni che rimandano ad un altro, come un sopravvissuto senza la volontà ottusa di sopravvivere in un mondo che non lo richiede, con la dignità di chi non inganna per principio. Questo è stato per oltre un quarantennio il piccolo, compatto mondo di Sergio Endrigo. Fu Nanni Ricordi ad accorgersi per primo di questo allampanato ex ascensorista dell'Hotel Danieli di Venezia. Fu lui a fargli incidere «I tuoi vent'anni» e «La brava gente»: ma fu soltanto nel 1963, con l'arrivo a Roma e il cambio di casa discografica, che il cantautore ottiene il meritato successo: «Io che amo solo te», «Vecchia balera», «Via Broletto 34», «Viva Maddalena», fino al debutto al Festival di Sanremo nel 1966 con «Adesso sì». Fu chiara fin dall'inizio la sua attitudine: partecipare a manifestazioni nazional-popolari senza farsi minimamente manipolare, anzi, continuando a frequentare gli ambienti più impegnati politicamente e culturalmente, ormai con una dimensione cosmopolita, come testimonia la lunga amicizia con Vinicius de Moraes. A sorpresa, nel 1968 trionfa a Sanremo con «Canzone per te», anche se «L'arca di Noe» presentata due anni dopo, è senz'altro più apprezzabile. Negli anni Settanta il suo percorso artistico è strettamente connesso al mondo della poesia e ad alcuni grandi incontri, rimarcabili quelli con Ungaretti, Pasolini, Buttitta, Rodari. È il momento della scoperta di dimensioni nuove, esotiche, che lo portano con successo in tutto il mondo, a cominciare dal Canada, Stati Uniti e tutto il Sud America. Gli Ottanta sono caratterizzati dall'obblio più che dalla mancanza di ispirazione o di vena poetica. Nel 1988 pubblica «Il giardino di Giovanni» e nel 1990 «Tango rosso», una rilettura garbata e ironica della crisi che colpisce il Partito comunista. Anche nella trascuratezza e nel totale insuccesso, è sorprendente notare il filo continuo, coerente e nello stesso tempo nuovo, creativo e fresco che unisce i grandi successi degli anni Sessanta alle canzoni degli ultimi tempi. Non è stato facile per nessuno passare attraverso i normali cambiamenti di gusto degli ultimi anni, ma Endrigo, non subendo i cambiamenti spesso imposti da un'industria discografica allo sbando, è riuscito a disegnare una piccola mappa dei sentimenti propri di una generazione. Purtroppo non vedrà nemmeno la conclusione dell'annosa vertenza contro Louis Bacalov, autore delle musiche del film «Il