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Magico incontro tra parole e musica

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Alla domanda un po' stupita sul perché di una così insolita richiesta, egli rispose: «Noi abbiamo una lunga tradizione lirica e le nostre cantanti hanno bisogno di conoscere bene la vostra lingua se vorranno avere successo nella loro carriera». La sede fu aperta immediatamente e l'ambasciatore ne fu assai felice. Da allora in avanti non ho smesso di chiedermi se Verdi, Donizetti, Puccini, Bellini o Leoncavallo avrebbero mai avuto altrettanto successo se le loro arie fossero state scritte, che so, in norvegese o in lituano anziché in italiano. La lingua del bel canto nella terra dove «il sì suona», quale altra più felice e puntuale conclusione sarebbe mai potuto giungere il nostro destino nell'Europa della poesia e delle arti? L'incontro tra parole e musica, particolarmente felice nella nostra tradizione, è stato per l'Italia un'importante occasione di confronto con le culture di altri paesi ed un ponte verso l'Europa. Del resto era già così nell'epoca di Dante, quando nel primo Trecento poeti, menestrelli e musicisti d'ogni provenienza affollavano le nostre corti signorili operando insieme e gareggiando in abilità. Ma il vero salto fu compiuto in età moderna, allorché l'italiano per musica, divenuto uno strumento espressivo ormai pienamente maturo, raffinato e versatile, si fece ambasciatore d'Italia nelle corti di tutta Europa: i melodrammi composti da Metastasio poeta di corte di Carlo VI a Vienna, quelli scritti da Paolo Rolli presso Giorgio II a Londra, e i tre grandi capolavori - Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte - scritti da Da Ponte per Mozart sono solo alcuni esempi dell'indiscusso prestigio dell'italiano fuori d'Italia. Nell'Ottocento la direzione dello scambio si invertì: non più «l'italiano per musica in Europa» ma «l'Europa nell'italiano per musica». Musicisti e librettisti cercarono infatti ispirazione nella letteratura straniera (García Gutiérrez, Shakespeare, Hugo). In questo modo vicende storiche di altri paesi, frammenti di culture diverse, penetrarono nella nostra cultura, raggiungendo, grazie al largo seguito di pubblico del melodramma, anche gli strati bassi della popolazione. Verdi, Puccini, Bellini, Leoncavallo, l'opera italiana ha acquisito grazie a tutti loro una notorietà internazionale diventata negli ultimi cinquant'anni un fenomeno di massa non secondario. Pavarotti, Zeffirelli, Carreras, Domingo hanno riempito piazze, arene, stadi di tutto il mondo raccogliendo folle oceaniche impazzite per le arie più celebri come «lucean le stelle», «la donna è mobile» o estasiate dalla bellezza di una melodica vagamente esotica dei tre «enigmi» di Turandot. Tuttavia il successo della musica italiana non si è esaurito con i librettisti d'opera, ma è proseguito oltre producendo capolavori d'arte noti in tutto il mondo anche con testi di cosiddetta «musica leggera» o «popolare», ma non per questo meno belli ed orecchiabili. «Marechiaro», «Santa Lucia», «Torna a Surriento» e ancora il genio di Caruso perpretato nella grande tradizione novecentesca partenopea di Murolo e su fino ai più recenti cantautori Bennato o lo stesso Pino Daniele che proprio in questi giorni esce con una nuova rivisitazione sempreverde de «O sole mio», seppure «ereticamente» cantata in inglese. Insomma un patrimonio d'arte di secoli e secoli di storia che lo studioso Stefano Telve ripropone ad insegnanti stranieri provenienti da tutti i continenti con un corso che ha per tema «La lingua italiana nella musica» e che avrà luogo a Roma in Palazzo Firenze dal 12 al 23 settembre con la partecipazione di noti studiosi come Michele Girardi, Lucilla Lo Priore, Fabrizio Della Seta con contributi sulle fonte letterarie e teatrali del libretto d'opera ed altro. Parteciperà perfino una gloria della musica pop italiana

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