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di DIEGO GABUTTI VENTICINQUE anni fa, tra il 14 e il 31 agosto del 1980, uno sciopero cambiò da un giorno ...

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Be', Marx quasi l'azzeccò, anche se lo sciopero dei cantieri navali di Danzica, nella Polonia che da più di trent'anni era sotto il tallone sovietico fu un episodio della lotta di classe che il marxismo, a dispetto della sua sfrenata fantasia sociologica, non aveva saputo prevedere, benché non fosse il primo nel suo genere. Come a Berlino est nel 1953, come in Ungheria e in Cecoslovacchia, lo sciopero di Danzica venne dichiarato dagli operai, cioè dal "proletariato" della favola comunista, e rabbiosamente avversato dalla burocrazia marx-leninista al potere, cioè dalla "nuova classe" sfruttatrice, come l'aveva definita Milovan Gilas in un classico del dissenso. Alla testa dei cortei, in quell'agosto del 1980, non c'era il ritratto di "Che" Guevara, come nei cortei italiani dell'epoca e nelle moderne manifestazioni pacifiste, ma c'era il ritratto del Papa polacco, Karol Wojtyla, che poco più tardi sarebbe scampato ("per miracolo", come avrebbe solennemente proclamato lui stesso fino all'ultimo giorno della sua vita) a un attentato del Kgb, il servizio segreto sovietico. C'era anche l'icona della Madonna Nera di Czestochowa, patrona della Polonia cattolica che ancora oggi campeggia all'ingresso dei cantieri, ormai abbandonati. Guidava il movimento degli scioperi un elettricista di 37 anni, Lech Walesa, padre d'otto figli, un ometto pingue e baffuto, dallo sguardo divertito, che era insieme il più devoto dei polacchi devoti e il più radicale dei rivoluzionari. Furono Walesa e i suoi compagni, fondando in quei giorni Solidarnosc, il primo sindacato libero dietro le linee sovietiche, a mettere bene in chiaro quale fosse, tra la religione e il marxismo, il vero "oppio dei popoli". Solidarnosc diventò a sua volta un'icona, e cambiò da così a così, in pochissimi giorni, la percezione stessa del mondo. Fino a un attimo prima l'impero sovietico era all'attacco: la sua influenza ideologica correva irresistibile attraverso il mondo, stregando i popoli, contagiando le nazioni. Un attimo dopo il Soviet supremo era sotto scacco: la bandiera "papista" e "reazionaria" di Solidarnosc proiettava, sul pianeta, un'ombra molto più lunga e fatale di quella proiettata dalle bandiere rosse. Gli anticomunisti di tutto il mondo - e in primis, naturalmente, i cittadini dei paesi comunisti, anticomunisti "naturali", per istinto di sopravvivenza - capirono d'un tratto che il gigante comunista aveva i piedi d'argilla. Controllava i "movimenti di liberazione" del terzo mondo; un Primo Maggio dopo l'altro faceva sfilare sulla Piazza Rossa i suoi carri armati e le sue batterie missilistiche; scialacquava in armamenti praticamente ogni rublo accumulato, ma non era più in grado, dodici anni dopo la Primavera di Praga, di tenere alla catena i suoi stessi popoli, ormai decisi a vendere cara la pelle. All'inizio s'udì soltanto un lontano scricchiolio. Breznev e compari, per farsi coraggio, alzarono la voce e mostrarono i muscoli schierando centinaia di missili SS-20 contro l'Europa. Ma presto ci furono altri scricchiolii, sempre più vicini. E i sovietici, fiutata l'aria, non osarono attaccare la Polonia come avevano attaccato, nel 1956 e nel 1968, l'Ungheria e la Cecoslovacchia. Nel 1981 Solidarnosc aveva nove milioni d'iscritti. C'era poco da scherzare e così, per la prima volta, Mosca cercò il compromesso. Lo trovò nella persona di Wojciech Jaruzelski, un generalissimo con gli occhiali scuri "alla Blues Brother", che prima dichiarò lo stato d'assedio e poi sedette al tavolo delle trattative con Lech Walesa, prima arrestato, poi rilasciato, e alle cui spalle stavano Solidarnosc e il Vaticano. Pochi anni dopo, nel 1989, quando l'Est europeo andò definitivamente in pezzi, Solidarnosc diventò un partito e Lech Walesa, che nel 1983 aveva ricevuto il Nobel per la pace, fu eletto presidente della repubblica p

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