Serbia e Montenegro legati al Belpaese nelle tradizioni e nel futuro
Poi, ammainando il vessillo con il leone di San Marco e deponendolo con mestizia sotto l'altare maggiore, disse: «Ti con nu, nu con ti», un saluto che suonava come un orgoglioso e malinconico ricordo per i 377 anni ininterrotti di fedeltà alla Serenissima. Fu ancora un agosto afoso, questa volta di qualche secolo dopo, che riportò sull'aspro suolo del Montenegro un altro celebre italiano, Vittorio Emanuele III di Savoia, deciso a chiedere al fiero Nicola Petrovic, primo ed ultimo re di quella terra, la mano della bella figliola Elena, futura regina d'Italia. Dicono che fu anche un matrimonio d'amore. A quanto sembra, la nostra storia oltre l'Adriatico non conosce mezze stagioni e neppure le tinte medie. Amati o odiati, occupatori o conquistatori che siano stati considerati, gli italiani lasciano nei Balcani una parte non indifferente della propria caratteristica identità levantina. Ne era cosciente Gabriele D'Annunzio in terra d'Istria con l'occupazione di Fiume (l'odierna Rijeka) e poi Crispi con l'idea di aprirsi un varco ad est d'Europa. Come stanno oggi le cose in quella parte dell'ex-Jugoslavia rimasta fedele (si fa per dire) a Belgrado, è cosa tutta da immaginare: profughi kosovari e musulmani bosniaci, ricchi russi felici di conquistare un posto al sole, spregiudicati contrabbandieri, ragazze bellissime in cerca di un futuro. Ma non è tutto. In mezzo a tanta confusione vi è anche, o forse soprattutto, una grande voglia di rivincita e di riscatto per una storia, a dire il vero, non sempre fortunata. Vi sono imprenditori che costruiscono e producono per il domani, c'è un'industria del turismo che comincia muovere i primi passi: Budva, Cattaro, Bar, le belle cittadine veneziane sul mare. «Ti con nu, nu con ti». C'è la storia, l'arte, il paesaggio dai sapori forti. Ci sono infine i giovani, quelli che studiano per diventare un giorno non lontano più ricchi e più bravi dei loro padri. Studiano con la voglia d'Europa nel sangue e con l'italiano tra i denti. Si, proprio l'italiano che parlano a Bari, a Trani, a Termoli o a Pescara. Lo stesso accento dei dirimpettai pugliesi o che ricorda il veneziano o il triestino che sono passati di qui per tanti secoli, lasciando dialetto e bellezze. Nell'attuale Montenegro, o meglio, nella Repubblica di Serbia e Montenegro, la lingua italiana è la seconda lingua ufficiale che si studia e che si parla bene, almeno lungo tutta la costa. Dal 1993 per legge ne è previsto l'insegnamento come materia d'obbligo nelle scuole medie inferiori e superiori per un totale di 30.000 scolari. Da una indagine recente del Ministero della Pubblica Istruzione di Podgorica risulta che più dell'80% della popolazione scolastica si dichiara interessata alla studio della lingua italiana come una delle due lingue straniere obbligatorie. Molti sono i nuovi corsi attivati, non solo al nord del paese, che hanno in programma l'italiano settoriale finalizzato all'apertura di nuovi commerci o sbocchi imprenditoriali, ma mancano i fondi della cooperazione e i docenti sono pochi. I 64 pur bravi e volenterosi professori d'italiano operanti in tutto il Paese non bastano a coprire il fabbisogno crescente della domanda. Un vero problema. Cosa fare? Un'idea ci sarebbe: «Fondiamo una "Dante Alighieri" a Cattaro ed alleiamoci con le università italiane», ha suggerito la lettrice del Ministero degli Affari Esteri, Lina Corropolese, in forza al Consolato Generale d'Italia a Podgorica. Un'idea che è piaciuta a molti e che ha visto aderire per prima l'Università «Gabriele D'Annunzio» di Pescara con un corso di italiano per docenti e studenti universitari diretto da Antonio Sorella, uno specialista in materia. Un vero successo! Finalizzato alla costruzione di un punto di riferimento per gli insegnanti nei Balcani il corso si ripeterà anche il prossimo agos