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«Con Nureyev ho ballato e litigato»

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Dall'Opera di Roma ai palcoscenici più importanti del mondo

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Elisabetta Terabust - una delle più grandi danzatrici classiche uscite dalla Scuola dell'Opera di Roma, prima ballerina nel 1963 ed étoile nel 1972, carriera internazionale vissuta specie a Londra nel National Ballet e in Francia nella compagnia di Roland Petit - è passata senza rimpianti all'attività di direttrice del Ballo, dapprima dell'Opera nel 1990-92 (e fino al 2000 della Scuola di Ballo dell'Opera), poi della Scala di Milano (1993-'97), del Maggio Danza nel 2000-02 e dal 2003 del San Carlo di Napoli. I suoi ricordi come danzatrice all'Opera di Roma sono impalliditi? «Non direi. Sono bellissimi. Certo, avevo venti anni: ma ero ben consapevole che il Teatro - con Attilia Radice al Ballo, sotto la direzione artistica di Massimo Bogiankino, che coraggiosamente puntava sui giovani - viveva una stagione straordinaria. So di essere stata fortunata, ma feci anche bene a lasciare l'Italia». Per quale motivo? «Non sarei diventata quello che sono. A Londra capii che certe scelte vanno fatte. In un teatro lirico viene prima l'opera e ultima la danza, con poche rappresentazioni. Io invece sono andata in una grande compagnia autonoma, quella di Roland Petit in Francia, dove la produzione era enorme, con spettacoli ogni giorno». Come fu l'esperienza con Petit? «Stupenda. Ebbi il mio primo ruolo in "Le loup", poi venne "Carmen" e le coreografie montate da Roland per me, "Notre Dame de Paris", "La valse triste", "Schiaccianoci"». Lei ha ballato con grandissimi partner: anche col vulcanico Nureyev? «Con lui ho ballato, ma anche litigato, perché era duro ed esigente, essendolo prima con se stesso. Ho avuto grande feeling con Peter Schaufuss e Patrick Dupont, ma soprattutto la rara fortuna di ballare con Erik Bruhn, il danese dalla personalità eccezionale con cui approfondii la tecnica Bournonville. La mia carriera è stata felice, la rifarei compresi gli errori». Allora qualche momento amaro lo avrà avuto anche lei? «All'Opera di Roma, dove pure è il mio cuore (quando si ventilò la chiusura della Scuola di Ballo e fu necessaria una sottoscrizione internazionale ndr). Ebbi amarezze, delusioni e piansi tanto. Però da allora non ho pianto più e oggi mi trovo benissimo al S. Carlo di Napoli, anche se non abbiamo un soldo». È stato traumatico lasciare il palcoscenico? «Presi la direzione dell'Opera quando ballavo ancora. La Scala mi chiamò mentre interpretavo "Charlot danse avec nous" di Petit all'Opéra Comique, nel 1993: io non sapevo che era l'ultima volta. Ma occorre scegliere se si vuol operare bene. Amo quest'attività, amo insegnare, è una nuova vita, non rimpiango nulla». Lei ha anche ballato coreografie contemporanee di Forsythe, Amodio nell'Aterballetto, Tetley: per lei la danza classica ha un futuro? «Il repertorio del passato non morirà mai. Ma il pubblico ama anche la buona danza contemporanea: perché la danza è una, purché sia di alta qualità».

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