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Brass promette scandali e follie al festival di Venezia

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Il regista svela che ad Anna Jimskaya non ha dovuto insegnare nulla: «Sul nudo sa già tutto»

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Del resto, ormai alla sua ventiseiesima regìa Tinto Brass non cambia certo registro. Anzi, se è possibile, accentua ancor di più l'erotismo dei suoi film precedenti, esasperando il leit-motiv di tutti i suoi titoli: l'infedeltà coniugale vissuta come stimolo per una coppia più appagata sessualmente dentro e fuori il talamo nuziale, un argomento che dovrebbe animare anche i suoi «corti» di prossima programmazione su un apposito sito web. Ad «incarnare», mai come stavolta è il caso di dirlo, l'eroina di «Monamour» (in sala dal 9 settembre) è la burrosa Anna Jimskaya, una bionda tipo Charlize Theron con 10 kg in più, venticinquenne uzbeka che porta a tre (dopo Katarina Vasilissa de «L'uomo che guarda» e Juliya Mayarchuk di «Trasgredire») le fanciulle dell'Est europeo lanciate da Brass nel soft-core nazionale. «Il provino è stato molto imbarazzante, ma subito dopo il Maestro Brass mi ha messa a mio agio. A casa mia, in Uzbekistan, di questo film (interpretato insieme a Max Parodi) non sanno ancora niente. Però credo che manderò una cassetta con molti… tagli. Si dice così, no?» Lei, Anna, al suo esordio sul grande schermo, chiama il suo regista "Maestro Brass" senza sapere che Tinto, parlando di lei dice che - salvo i tempi di recitazione - non ha dovuto insegnarle proprio niente. Niente di riferibile, almeno. Neppure sul nudo ? «Macchè, su quello sapeva già tutto lei», sogghigna «maestro Brass». Lei pensa che anche Anna la rinnegherà, come hanno fatto alcune delle attrici che lei ha lanciato nei suoi film? «Non credo. Anna mi vuole bene. Del resto, anche se qualcuna ha rinnegato l'esperienza in un mio film, non sono amareggiato. Lo considero uno scotto da pagare inevitabile se si vuole arrivare a presentare, per esempio, il Festival di Sanremo». Brass non fa nomi, ma il riferimento a Claudia Koll, che esordì in «Così fan tutte», nel 1992, è chiarissimo, anche se Tinto può vantarsi di aver lavorato persino con un'attrice premiata a Venezia addirittura con il Leone d'oro. Lui, arrabbiato col direttore della Mostra del cinema Muller, reo - secondo Brass - di aver rifiutato il suo film in nome di un presunto «moralismo censorio», in realtà alla Mostra dovrebbe essere grato censorio (a proposito, occhio! Tinto ha promesso che anche stavolta, come suo solito, piomberà al festival per creare scandali e scompigli). Già, perché il Leone d'oro in questione è Stefania Sandrelli. L'attrice viareggina riceverà il premio il prossimo 10 settembre. Un riconoscimento - attenzione!- che le viene assegnato «alla carriera», splendida, che, nel 1983, fu rilanciata proprio da «La chiave», uno dei più bei film di Brass. Il quale, a sua volta, può a buon diritto rivendicare una parte di quel prestigiosissimo Leone d'oro. E «quale parte» Brass preferisca possiamo facilmente immaginarlo.

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