Da Lauzi una sfida all'Italia che non legge
Ma anche dei lettori, dell'editore e soprattutto del testo, infinita combinazione di potenzialità verbali e strutturali, in cui convergono discussioni, interventi dall'esterno, istruzioni per l'uso e avventure che un po' si autodeterminano, un po' sembrano rispondere a un oscuro disegno superiore. Un ladruncolo idealista, un professore filosofo con la figlia «deliziosamente inutile», una duchessa russa in viaggio sull'Orient Express, un fachiro molto grasso e un investigatore bonaccione si incrociano in una trama costruita con tecniche agguerrite (alle sorgenti si affacciano Calvino ed Eco e pure certe traumatiche innovazioni di Sala e Gramigna, Manganelli e Pontiggia) che sommuovono un ventaglio di fatti, e dei loro rispecchiamenti critici, in una gustosa parodia del feuilleton. In una miscela di intrighi, tenuti sospesi da una studiata distanza consapevole che «conoscere è soffrire», si fa avanti un articolato repertorio tematico di sapore ottocentesco, riutilizzato attraverso ammicchi, paradossi, schermaglie tra chi scrive e la straripante materia scomposta e ricomposta, dall'«impasse» al «coup de théatre». L'autore è colto in ogni sua manovra maliziosa: quando tenta di «sfilare pagine da sotto ai piedi» della duchessa o, «apprendista stregone», mostra un «enorme imbarazzo» e una «momentanea paralisi creativa». Intanto i piccoli eroi della vicenda, spaziata dagli anni Trenta agli anni Sessanta e incentrata sulla ricerca di una pietra preziosa dal cui nome deriva il titolo dei libro, si riversano convulsamente in vari luoghi e negli interstizi di una macchina per scrivere, la vecchia Olivetti Lettera 22, destinata a contribuire allo scioglimento del plot. Scontenti di popolare un «romanzetto scombiccherato», battono un'altra pista che sembra un «film di Antonioni tratto da un romanzo di Robbe Grillet» e un «Pirandello andato a male», e si dispongono, permettendosi il libero arbitrio, a mettere in pericolo la trama che li imprigiona (o se stessi che imprigionano una trama?). Per proseguire, questa «sottospecie di conte philosophique di volterriana memoria» ha bisogno di sempre nuovi impulsi, sia pure grazie al filtro di generi letterari, come il poliziesco di azione, e ai «residuati di un pul magazine di cinquant'anni prima». Non manca il supporto di massime attrezzate per dare spessore alla narrazione, eccentrica e amara metafora dell'esistere che rende tutti gli uomini, di carne e di carta, indistinguibili nella lontananza del tempo. Ambiguo, intrigante («adombra un qualche discorso su Dio?») «Il caso del Pompelmo Levigato» è una sfida tenace, sotto la visibile forma ludica, all'indifferenza di un «paese che non legge». Bruno Lauzi «Il caso del Pompelmo Levigato», Bompiani 119 pagine, 8.50 euro